cune parole. Poi la tenne in mano di faccia a chi passava, come per invitare a leggere quanto vi aveva scritto. Ma per alcun tempo nessuno vi badò, e dubitando egli d’avere scritto male, cancellò più volte le parole, e più volte le riscrisse. Con impazienza aspettava d’essere inteso; ma cominciava già a perderne la speranza, allorchè il direttore dello spedale finalmente vi fece attenzione, e gli riuscì di leggere: «Scrivetemi sulla mano.» Dopo averci pensato un poco, gli parve d’aver capito la sua idea; gli si accostò, gli prese la mano, e il giovine tra l’incertezza e il contento tremava tutto. Allora il direttore gli tracciò col suo dito sopra la palma un s ed un i per provare se aveva inteso quello che egli chiedeva. Fu tanta la gioia del giovine a questa scoperta, che piangendo abbracciò il direttore; e poi cominciarono tra loro un colloquio. Il sordo-muto-cieco faceva i soliti segni colle dita, e il direttore gli rispondeva nel modo suggerito dalla necessità. Oh, pur troppo la necessità insegna agli uomini molte cose! Da quel giorno in poi il poveretto riacquistò la sua ilarità, sicchè pareva che avesse ricuperato la vista. Infetti la sua infelicità era minore, perchè in qualche modo poteva rimettersi in corrispondenza cogli uomini. Quindi non solo il direttore, ma ognuno imparò così a conversare con lui, ed egli potè riconoscere i suoi compagni e far nuove relazioni con altri. Di tutti desiderava sapere il nome, e saputolo, nol dimenticava. Così arrivò al punto d’imparare alcuni versi che gli venivano trac-