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niccolò tartalea | 43 |
o ne patirono il difetto per disgrazie o per malattie; e nonostante s’ingegnarono di rimediare alla loro mancanza col maggiore esercizio delle facoltà che loro rimanevano, e molti di essi divennero celebri nelle scienze o nelle arti. Si narra di Giovanni Gonnelli da Gambassi che sebben cieco fu capace di modellare in creta somigliantissimi ritratti; del naturalista Huber, il quale dopo aver perduto la facoltà di vedere, seppe descrivere meglio di ogni altro gli alveari ed i costumi delle api; e Saunderson, rimasto cieco da fanciulletto, fu matematico esimio, e compose trattati dottissimi sull’organo della vista, sulla teoria della visione, sui fenomeni della luce e sui colori. I sordi-muti manifestano quasi sempre molto ingegno; e taluni altri che parevano ebeti, alla fine si riscossero dall’ottusità della mente: così Taddeo Alderotti fiorentino, dopo essere stato stupido fino all’età di 30 anni e senza saper leggere nè raziocinare, diventò poi il medico più famoso del suo tempo. E chi sa quanto maggiori cose avrebbero fatte se non avessero avuto da superare simili ostacoli! Ora, se questi e vari altri infelici come loro, ad onta di sì gravi difficoltà, hanno potuto far molto e far bene, quanto più non è da aspettarsi da coloro ai quali mi mancano fin dalla nascita nè la perfezione degli organi e dei sensi, nè le altre doti di natura, nè educazione, nè studio!
Saranno ormai trecento anni, che nella città di Brescia nacque un bambino al quale fu dato il nome