stette zitto e sopra pensiero per qualche tempo, considerando la miseria di quella famiglia; ma uscita fuori di porta, cominciò a saltare allegramente, e a fare il solito chiasso con altri fanciulli. Tornato a casa, udì che il babbo e la mamma parlavano insieme della Vedova; fissavano di mandarle un pane ogni giorno; e: «Anche noi, diceva il babbo, anche noi potremmo una volta o l’altra aver bisogno di soccorso. Nissuno può dire: non mi mancherà mai il necessario. Sicuro, il lavoro, il risparmio e la buona condotta prevengono la miseria; ma non sempre bastano a liberarci dalle improvvise disgrazie.» Quella stessa sera la nonna fece a Carlo il solito regaletto, ed egli corse a riporlo. All’aspetto di quel denaro si rammentò della povera Vedova e dei suoi tre miseri figliolini: «Eppure, pensava, potrei dargli a loro questi denari! che fo?... Ma ed io? resto senza. Gli darò mezzi.... e allora sarebbero troppo pochi. Lasciamoli stare. Per ora ci pensa mio padre. È meglio che serbi il mio denaro ad un’altra occasione.» E chiusa bene la cassetta, se n’andò via. Tutta quella sera fu malinconico; gli pareva che i suoi genitori non lo guardassero di buon occhio; e quando si trattò di andare a letto non si arrischiava a chiedere un bacio. Ma il babbo gli aperse le braccia con espansione di tenerezza, e gli disse: «Va’, figliuol mio, la benedizione del Cielo ti accompagni, e procura di non essere ingrato ai suoi benefizi. Tu lo sai; vi sono sulla terra alcune creature che senza averlo meritato vivono nella miseria. A te non manca