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162 | racconto undecimo |
vita e l’onore dei cittadini; e l’eloquenza di messer Francesco sostenuta dalle mire politiche dei nemici della libertà fiorentina, convalidò una tirannide vituperosa ed acerba. Sicchè infine l’Imperatore pronunziò la sentenza a favor d’Alessandro, obbligandolo nel tempo stesso a rimettere in Firenze gli esuli, a restituire i loro beni, e ad obliare le inimicizie; ma frattanto invitava gli esuli a dichiarare se accettavano il benefizio e a promettergli fedeltà. Essi delusi nelle loro speranze rifiutaron tutto, e risposero: «Che non erano la venuti per domandare a Cesare con quali condizioni dovessero servire il Duca, o ad impetrare da quello il perdono; ma perchè rendesse loro la libertà solennemente promessa dallo stesso Imperatore nella Capitolazione, e dai suoi esecutori perfidamente violata: onde vedendosi delusi nella speranza, non potevano altro che aspettare che S. M. fosse meglio informata per adempiere ai loro desiderj, essendo risoluti di vivere e morir liberi.» Questa generosa risposta fu applaudita per tutta Italia; ma il Duca tornò vittorioso ad opprimere con più baldanza e con più ferocia la misera Firenze; e il Guicciardini s’acquistò il soprannome di quell’abietto e scellerato Messer Cerrettieri che fu ministro delle iniquità del duca d’Atene.
I fuorusciti, sdegnata la misericordia dei nemici, e rinunziando ai domestici lari ed alle sostanze, comecchè fossero disagiati e poveri, tornarono a patir le amarezze dell’esilio, fatte più acerbe dal veder sempre schiava la patria. Alcuni dei principali