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cecchin salviati 155

La memoria dell’empietà del Baglioni potrebbe accecarmi. Parliamo dell’arte. Dopo l’amore della sorella io non ho altra consolazione che questa; ma oh Dio! pur troppo anche l’arte patisce delle sventure d’Italia. L’arte decade insieme coi popoli; pare anima illanguidita in corpo snervato. Io eccomi qui... ogni giorno coi pennelli, ma a servizio d’un uomo. E le speranze eran grandi; ma il fatto per ora non corrisponde. Nondimeno se non vien di fuori un giovine pittore aspettato da M. Marco da Lodi, avrò da fare lavori più grandi. Non penso al guadagno; vorrei solo provarmi in altre opere che non in quadretti, in ritratti, e che so io... E tu? ora che ti sei riposato, parlami un poco di te.» — «Io, rispose Giorgio un po’ confuso, io... cosa posso dirti? son qua... naturalmente ci son venuto anch’io per lavorare... vedrò...» — «Amico! esclamò Francesco pigliandolo per la mano, rammentati che siamo fratelli; finchè non ti si offre miglior fortuna, viverai meco; dividerai con me il bene presente e quello maggiore che aspetto.» Giorgio accettò con riconoscenza l’invito; s’abbracciarono teneramente, e si divisero per andar ciascuno a riposarsi nella sua stanza. Il dì dopo Giorgio rimasto solo alcun tempo, rifletteva alla singolarità del suo caso, dicendo: «Vedete che strana combinazione! M. Marco da Lodi mi aspetta per accomodarmi col cardinale Ippolito (dei Medici); se io non fossi venuto, per certo quest’occasione toccherebbe al mio amico. Oh! non sarà mai ch’io ne lo privi. Dunque che fo? bi-