vati queste vesti polverose...» — «No, lascia, lascia che io mi goda questi momenti; ch’io ti tenga nelle mie braccia qui, qui davanti a un capo d’opera che mi ha fatto meravigliare. Ora non ho più sonno; veglierei tutta la notte per discorrer teco; quante cose ho da dirti! Ma prima di tutto, come va che hai mutato nome? io son qui per caso. — Ti dirò; non l’ho mutato già io; queste stanze sono del cardinal Salviati, ed è un pezzo che lavoro per lui; a’ nostri compagni è saltato il capriccio di darmi il suo cognome. — Dunque hai lavoro, te la passi bene?...» Cecchino abbassando il capo e fregandosi la fronte; «Lasciamo andare questo discorso per ora.» — «Ahimè! disse Giorgio, pur troppo ti leggo in viso che non sei contento!» — «Amico, rispose Francesco, aspettavo te per isfogare tutto il dolore della mia anima. Dacchè non son più a Firenze e questa la prima volta che mi sento un po’ consolato. Lasciamo stare le cose dell’arte. A suo tempo ne parleremo. Tu sai che ho una sorella!» — «Poveretta! me ne ricordo, esclamò Giorgio sospirando dolorosamente. E un pezzo che non hai notizie di lei?» — «Sì, rispose Francesco; questa volta ha indugiato a rispondermi. Ma non fa specie. Ella, tu lo sai, ella si volle dar tutta alle opere di carità; forse ora non le lasciano neppure il tempo di scrivere. Durante l’assedio diventò subito la suora più attiva dello spedale. Oh! se tu l’avessi vista in quei giorni terribili! era la consolazione dei nostri feriti. Non solamente gli assisteva, ma gli riempiva di nuovo co-