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152 racconto undecimo

cello venne ad aprirgli. «Sta qui, disse, Cecchin Salviati? — Sta qui; ma è fuori.» Eppure mi è entrata la smania di conoscere questo nuovo pittore fiorentino, disse fra sè. «Posso aspettarlo? — Siete padrone.» Il garzoncello lo introdusse nella stanza dove il suo maestro lavorava, e il giovine si buttò a sedere sopra una panca davanti al cavalletto considerando un quadro quasi finito. «Cospetto! esclamò allora meravigliato, che bel quadro è mai questo! e la maniera io la conosco. E uno scolaro d’Andrea; si direbbe che avesse studiato con Francesco de’ Rossi. Ma chi sa se Francesco potrà esser giunto a tanta perfezione! E un gran pennello anche il suo; ma questo lo supera: Oh! lo supera dicerto. È un’opera da maestro finito. Se Andrea del Sarto fosse a Roma, la piglierei per sua.» Dopo aver osservato a lungo ed essersi lambiccato il cervello in congetture, vinto dalla stanchezza e dal sonno, si addormentò sulla panca. Alla fine arrivò il pittore che teneva quelle stanze, e con sua meraviglia visto il giovine addormentato: «Oh! Giorgio, esclamò, ah! sì; è lui, è lui;» ed era fuor di sè dalla contentezza. Le sue grida svegliarono Giorgio, che impensatamente si trovò nelle braccia dell’amico. «Oh! che fortuna! seguitava Francesco; quanto tempo e che t’aspetto! A quanti ho domandato di te, e nessuno sapeva nulla! E come hai fatto a trovarmi?» — «Ora non posso parlare, rispondeva Giorgio tutto commosso; poi ti dirò tutto» — «Oh sì, devi essere stracco; va subito sul mio letto; le-