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140 | racconto undecimo |
per lei. Tu, piuttosto, tu allontanati prontamente. Se arrivano a scoprirti pallesco, guai a te! Non basterebbe la mia morte a salvarti. Torna subito a Pisa; io resto qui. Non odi gridar per tutto: morte ai palleschi? Questo popolo è disperato; sarebbe capace di giungere ad ogni eccesso; non risparmierebbe nemmeno la tua età giovenile. Oh! mi dispiace di non accettare il partito che sei venuto a propormi generosamente col pericolo della vita. Ma tu mi perdonerai, non è vero? So che faresti come me...» Giorgio stupito della repulsa e dei detti animosi non seppe che si rispondere; poi tentò di nuovo d’indurlo; ma inutilmente. Francesco tra la riconoscenza e lo sdegno, era commosso, ma non incerto; e alla fine: «No, io non posso più ascoltarti, esclamava. Pensa qual sia il mio dovere più sacro. Va; se Dio vuole, a miglior tempo ci rivedremo. Ora è inevitabile separarci; l’amicizia con un pallesco è delitto.» — «Ebbene, rispose Giorgio confuso, tu vuoi così? pazienza! Bada di non avertene a pentire...» — «Non mi pentirò mai d’essere stato fedele alla patria.» Allora abbracciatisi teneramente si separarono; e Giorgio andò a Pisa ad aspettare l’esito dell’assedio.
Non molto dopo arrivò la notte della vigilia di s. Martino (10 novembre 1529), nella qual epoca i Fiorentini solevano aprire una famosissima fiera, abbandonarsi a un giubbilo generale, e far lauti banchetti e cene e danze e ricreazioni d’ogni maniera. Laonde il principe d’Orange capitano degli assalitori pensò di potere assaltare sprovvedutamente