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138 racconto undecimo

accampamenti tedeschi e spagnuoli, ridurre in armi gli stromenti dell’arte e del mestiero, consacrare alla patria le sostanze, vivere parcamente, dividere coi più poveri il poco cibo, e rimanere spogliati di tutto, fuorchè delle armi, perchè sapevano quale fosse il vero il solo bene da conservare.

Una mattina all’alba Francesco, pieno di sonno e di stanchezza, tornava dalla guardia della porta a S. Niccolò, e s’indirizzava a casa per riposarsi. Quando fu presso l’uscio, scorse un giovine che stava lì in atto di aspettarlo, e appena si furon visti, l’uno corse nelle braccia dell’altro. «Giorgio! mio caro Giorgio! esclamò Francesco, che fa’ tu qui?» — «Andiamo in casa, rispose l’altro, e parleremo più liberamente.» Entrati in casa e reiterati gli amplessi: «Grandi cose, cominciò Giorgio, grandi cose sono accadute dacchè non ci vediamo.

Franc. Pur troppo!

Gior. E quanto ho cercato di te! nella solita casa non vi sei più! Ah! non ardisco domandarti!...

Franc. Tu hai indovinato, Giorgio mio, sono orfano!

Gior. Oh! Francesco! piangiamo insieme. Anch’io ho perduto il padre. Fuggimmo il pericolo della peste, ma inutilmente per lui, povero padre!»

E ambedue sfogarono con le lacrime il comune dolore. Poi Giorgio riprese: «E della tua sorella che n’è?

Franc. Poveretta! Immagina che afflizione! Ma non s’è mai persa d’animo; e l’ha saputo far vedere