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gnole; alcuno però mi assicura di avere in addietro assistito a qualche gara poetica fra due villici che in mezzo ad una folta di gente si indirizzavano versi a senso strambalato, e che essi pure chiamavano strambotti. Ciò corrisponderebbe alle tenzoni tanto frequenti in Sicilia, per altro a me non fu dato avvertire finora tal fatto. Le villotte sono adoperate a marcare col cembalino i passi e le cadenze della manfrina (monferrina) che i contadini ballano con qualche leggiadrìa, e con precisione mirabile. Nei nostri canti popolari si trovano spesso come altrove oltre le rime di identità anche quelle di similianza, per una legge ritmica che la natura à posto nelli orecchi delle moltitudini ed è ben differente dall’altra fissata nelle scuole; per cui nel presente saggio troverannosi per esempio rimati al N. 4 fontana e mama, al N. 5 renso e drento, al N. 14 pianze e sangue, al 18 bando e manco, al 61 seda e veronesa, al 69 ale ed andare, al 72 matinada e slaga, al 77 inzima e Rosina, e via discorrendo. Talora si incontrano dei versi che eccedono la quantita delle sillabe voluta dal metro, come ai numeri 86, 93, 96, 97 e 99, o che ne sono mancanti, ma chi li canta sà così bene elidere o meno le vocali, e battere con destrezza li accenti che alla semplice recita non è possibile accorgersene. Canti politici, che riflettano cioè le vicende publiche del paese ne abbiamo quasi nulla, solamente osservai che li avvenimenti del 1848 lasciarono delle traccie anche nelle canzoni popolari. Abbiamo infine qualche canzone religiosa o laude spirituale che se non è foggiata su quelle di Jacopone da Todi o di Gerolamo Savonarola, serba però nel suo intero andamento lo spirito di una fede religiosa assai viva. Ad ultimo, canti licenziosi e triviali non ne abbiamo nessuno, e se talvolta alcuno di essi è lì lì per cascare, come i numeri 19, 55, 83 e 96 sà pure fermarsi a tempo ed esprimere le sue furberìe con tanta gentilezza da velarne se non toglierne affatto la malizia.
L’amore istintivo e grandissimo che ebbi sempre pel popolo fecemi di buon’ora drizzare l’attenzione a quanto gli appartiene, così che sino dal 1852 mi diedi ad annotare i suoi canti, i proverbi, le voci di paragone, i modi di dire, le sciarade ed indovinelli, le costumanze ed i pregiudizii, le fiabe o racconti, oltre le parole del dialetto per apprestare i materiali di un