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alla umanità complessiva, ma speciale rapporto al paese ed al popolo onde à vita, perchè informata alle memorie, ai sentimenti, ai bisogni della breve cerchia ove nasce; l’altra è speciale di fronte al genere umano, ma generale riguardo al loco ove surge, perchè non si limita alle memorie, ai sentimenti, ai bisogni di una sola provincia o di una parte di essa, ma si studia esprimere quelli di tutto un aggregato naturale di provincie, quelli cioè di una intera nazione. La poesia nazionale può talora e di spesso diventar anche popolare, ma è ben più difficile che la popolare diventi nazionale, ove non rifletta un sentimento che accidentalmente coincida con quello di tutta la nazione.

Non è poi da confrontare la poesia popolare con quella delle scuole e delle accademie che tanto spesso colla grettezza delle norme, coll’abuso delle retoriche figure o colla ostentazione pesante di una facile sapienza fiacca la fantasia ed inaridisce il cuore riuscendo allo scopo contrario di quello cui tende; mentre la prima ricca di ingenue grazie e di vita le sovrasta sempre di tanto quanto la maraviliosa natura vince in bellezza l’opera più perfetta dell’arte, sia pure uscita dalle mani del Buonarroti o del Sanzio, di Cellini o Canova1.

La poesia popolare (scrive Cesare Cantù) «ha il merito di giungere per istinto là dove a stento possono gli eruditi con lo studio, vo’ dire a quello profonda conoscenza delle varie stirpi, cui la filosofia e la storia si affatticano ad esplorare; onde il leggerli, per valermi d’una espressione di Görres è veramente toccar il polso della nazione nella sua infanzia



  1. È forse inutile accennare come non meriti nome di poesia popolare quella che corre pelle bocche dei cantastorie nelle sagre o nelle fiere, la quale è frutto stentato di qualche prosuntuoso mascalzone che la pretende ad erudito, ed è modello di schifoso ibridismo poetico non solo, ma di sgrammatica e di offeso buon senso. A questo deplorabile genere appartiene la canzonetta ora di moda in difesa dei capei e cerci col ritornello:
    Xela una cana, xelo un’toron.

    Quanto alle imitazioni di canti popolari fatte da culti rimatori, sebbene arrivino talora a sedurre per gentilezza di pensiero e di forma, rarissimo è poi che non tradiscano quà o colà la nascita illustre, a quella guisa che la nobiltà per quanto nelli ozi villerecci tenti assumere modi borghesi, poco o tanto rivela sempre l’alterezza del blasone dorato.