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Ma desti i dormenti, quelle non hanno più che fare; debbono quetare e tornare nei tesori di quella Provvidenza, che è benigna quando vuole, terribile quando permette. Tuttavolta le rivoluzioni, procellose a venire, non hanno l’intelletto a tornare. Il prodigio della morale risorrezione dei destati, che è tutto di Dio, usurpano per sè; vogliono governarlo con un diritto che non hanno, vogliono trionfare di un trionfo che non è loro, vogliono predare quello che esse stesse restituirono; ed allora, guai al popolo risorto! Chi scoperchiogli il sepolcro, gli rovescerà sul capo la lapida, e diragli — Dormi ancora.

Quando un popolo è recidivo in questo sonno, è segno, o che l’istinto delle rivoluzioni, per immaturità di tempi, soverchi la ragione della evoluzione dell’umano spirito nella via del progresso; o che gli uomini di stato, muliebri nella fede in quella ragione, non possono, o non sanno propugnarla da uomini. Ma se l’ora è quella designata da Dio, se uomini sono i pubblici governanti, sul loro braccio poggerà la mano il risorto popolo, essi gli soffieranno, a mo’ di dire, nel cuore la coscienza della vita. E poichè questa è immortale, non possono bruscamente volgere la faccia di quel popolo all’aspirazione dell’avvenire, senza prima tenerlo volto con religiosa riverenza alla ispirazione del passato. Per questa riverente tornata al passato beve l’uomo alla fonte delle avite tradizioni, è rischiarato dal sole delle domestiche memorie, accoglie sulla fronte il bacio della patria, si sente cittadino; e per questa ispirazione crede, spera, e canta il simbolo della fede in Dio e nella umanità.

Noi monaci di S. Benedetto non siamo nel mondo,