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stro pensiero. Vincenzo Gioberti fu il primo a rispondere da Brusselle al pietoso appello, poi Balbo, Mamiani, Troya, Jannelli, Galluppi, de Grazia, Rosmini, Pellico, Cibrario: tutti con tanta carità di affetto verso la comune patria, con tanta unità di proposito, che il concorrere delle loro anime su questa badia, portate dal nazionale desìo, aveva del dantesco.
E chi eravamo noi da piegare quei sovrani ingegni a comunanza di pensiero e di affetto? quale autorità s’aveva il nostro nome da fermarli in questa badia nel santo sodalizio della sapienza? No: noi poveri salmeggianti non eravamo da tanto: fu l’idea del Cristo, principio di ogni umano assembramento, che dalla sociale forma del monachismo, persuadeva, innamorava quegli animi; fu S. Benedetto. Le lettere di que’ valentuomini a noi scritte recano il documento di questa verità; documento inestimabile di quel che chiede oggi da voi la patria, di quel che noi dobbiamo fare per lei. Imperocchè il divisamento dell’Ateneo italiano non fu solo una parola che corse per le alte cime delle italiane intelligenze, esso fu un discorso di idea che tacito penetrò nell’intimo della nazionale coscienza, che toccò la fibra del cuore del nostro popolo, quella che freme sempre alla vigilia dei civili risorgimenti. Voi lo ricordate: a quei dì l’Italia non pensava che con la mente dell’autore del suo Primato Civile, non sentiva che col suo cuore, non parlava che con le sue parole, e l’Italia riconoscente deputò il Gioberti a salutare S. Benedetto in questa metropoli dell’occidentale monachismo.
« Mirabile Monte Cassino, scriveva il Gioberti, cuna e seggio perpetuo del loro istituto, faro luminoso e