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dirsi nella beata pedagogia di un Pontefice; pareva che il medio-evo gittasse un raggio della sua luce crepuscolare su questo superbo secolo, che amava in quei dì men ragionare che sentire ai piedi del celeste clavigero. Quante speranze non isbocciarono allora dai rinfrancati petti! quante lagrime di gioia non si versarono per la intuizione di un avvenire, che ci si apriva innanzi da chi aveva le chiavi del regno dei Cieli! Non eserciti, non tesori possedeva costui; e la fede dei popoli, che avevano valicato il torrente dell’anno 1789, non era certo quella dei Crocesegnati di Urbano II. Quale dunque la sua forza a tanta commozione di genti? quale la logica a sì repentina persuasione? Fu la forza del Cristo, che svolge ancora nell’ordine civile il suo atto redentore, fu la logica del Verbo, che svolge nel tempo l’atto eterno di creazione, fu l’ideale di ogni giustizia, che sfavillava dagli occhi della Chiesa. Un’altra individualità sociale montava pei gradi dell’umano progresso che voleva vivere, la nazione: e la Chiesa accorreva, e si accostava all’Italia consueta messaggiera al mondo della sua parola.

Operava la Chiesa, e senza che gli uomini se ne addassero, la sua opera vestiva la forma sociale. Nella Chiesa splendeva il radiante principio; gli occhi delle menti fermati in lei non videro come quello fin dal 1843 venisse qui su questo Monte Cassino a destare dal suo sepolcro S. Benedetto, ed a chiedergli l’indumento della sociale forma del suo istituto, per entrare come azione nel cuore dell’Italia. Ma noi lo vedemmo, noi lo sentimmo; noi pochi, noi poveri della sapienza del secolo, noi forestieri nei conventicoli della politica.