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mo, dicendogli: Faciamus hominem. E l’uomo fu fatto per S. Benedetto. Italiano era costui, italiano il plasma di questa creazione, cristiano lo spiracolo della nuova vita sociale. Per ciò da quel dì la Chiesa, S. Benedetto, e l’Italia, non saranno più separati: saranno disgiunti, quando si romperà la compagine della nostra società civile. E sarà possibile? Fino a che dura l’ideale consorzio di quella triade, sarà in lei un ricambio di vitalità e di azione, che rende una e costante la economia della loro esistenza. La voce di uno avrà sempre uneco nel cuore degli altri; e l’aspirazione di uno di que’ tre a qualche vero, a qualche bene sarà un grido di bisogno emesso da un petto solo.

Sgomberate la Storia della materia dei fatti, intendete ai principî, e vedrete quel che affermo. Tra l’Italia e la Chiesa non corre solo il rapporto della fede comune a tutto il mondo, ma anche quello della genealogia del suo individuale progresso. Che è mai questo rapporto, se non una idea, che rutila dalle pagine della storia e scende nella italiana coscienza a prendere la temperie di un fatto, moderatore della sua civile moralità? A guardia di quell’idea è S. Benedetto col suo ordine: il monastero è l’archivio di famiglia della nostra nazionalità. Il dramma del medio-evo per tutta Europa si svolse tra queste tre grandi individualità: la Chiesa, l’Italia e S. Benedetto; del loro dialogo si compone la cronaca del nostro incivilimento sociale.

Incomincia nell’Italia il sentimento della sua autonomia nella Pentapoli Ravennate, svegliato dalle persecuzioni iconoclaste di un imperadore bizantino: gl’Italiani vogliono essere italiani, e non più bizantini, e la