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ATTO SECONDO 89


And. Se non posso ottenere vostra nipote, verso in un mar di guai.

Tob. Manda a prender denaro, cavaliere, e se non giungerai alfine a possederla, chiamami cane.

And. Se non lo fo, non credermi mai più.

Tob. Andiamo; vuo’ bruciare alcuni bicchieri di rum; è omai troppo tardi per coricarci. Andiamo. (escono)

SCENA V.

Una stanza nel palazzo del duca.

Entrano il Duca, Viola, Curio ed altri.

Duc. Fateci udire un po’ di musica. — Buon giorno, miei amici. — Buon Cesario, canta quell’aria patetica che udimmo la sera scorsa. Mi sembrò che essa alleggerisce molto i miei mali, assai più che nol fanno quelle canzoni scipite che soglionsi per lo più intendere. Cantane almeno una strofa.

Cur. Col permesso di Vostra Altezza, qui non vi è quello che potrebbe cantarla.

Duc. Chi è questi?

Cur. Festo il buffone, signore: un pazzo che ricreava molto il padre di Olivia: ei dev’esser poco lontano.

Duc. Cercalo, e intanto udiamo la musica. (Curio esce; la musica incomincia) Avvicinati, garzone, e se mai tu ami, nei dolci impeti della tua passione ricordati di me, perchè tutti i veri amanti sono come io, mutabili e cangianti in ogni cosa, fuorchè nella costanza della memoria dell’oggetto amato. — Come ti sembra quell’aria?

Viol. Essa risuona come un’eco nei cuore che serve di trono all’amore.

Duc. Ben dici, e quantunque tanto giovine, scommetterei che tu hai già amato. È egli vero?

Viol. Un poco.

Duc. Qual donna era.

Viol. Somigliava a voi.

Duc. Essa non era degna di te. Di quale età?

Viol. Della vostra, signore.

Duc. Troppo vecchia, pel Cielo! La donna deve eleggere un uomo che abbia più anni di lei, se vuole conservar sempre un posto nel suo cuore. Perocchè mio caro, noi abbiamo un bel