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ATTO SECONDO | 87 |
dando con voci impudenti procaci canzoni? Non sentite dunque nessun rispetto pel luogo, per le persone e pei tempi?
Tob. Conservammo il tempo, messere, cantando. Andate ad appiccarvi.
Mar. Ser Tobia, bisogna ch’io vi parli schietto. La mia signora mi impose di dirvi, che sebbene ella vi ricevette come suo parente, non è però imparentata per nulla coi vostri disordini. Se potete comportarvi onestamente sarete sempre il benvenuto in questa casa; se no, volendo voi accomiatarvene, ella non si ristarrà dal dirvi addio.
Tob. Addio, caro cuore, dappoichè convien ch’io parta.
Mar. No, buon ser Tobia.
Vil. I suoi occhi dimostrano che i suoi giorni son quasi trascorsi.
Mal. È proprio vero?
Tob. Ma io non morirò.
Vil. Ser Tobia, voi in ciò mentite.
Mal. Ed io son disposto a credervi.
Tob. Gli debbo io dire d’andarsene? (cantando)
Vil. E se voi lo faceste?
Tob. Gli debbo dire d’andarsene, senza altri riguardi?
Vil. Oh no, no, no, voi non l’osereste.
Tob. Dunque mentite, signore. Siete forse qualche cosa di più che un intendente? Credete che per fare il divoto si conquida il mondo? Itevene in vostra malora, e tu, Maria, recaci vino.
Mal. Fanciulla Maria, se voi faceste qualche caso del favore della nostra signora, non vi prestereste a servir costoro; ma la mia signora ne sarà istrutta, ve ne assicuro. (esce)
And. Sfidarlo a duello, e poi mancargli di parola, e farsi beffe di lui, sarebbe opera tanto buona, quanto il ber birra, allorchè si ha fame.
Tob. Fatelo, cavaliere; io stenderò il cartello, e gli farò conoscere a viva voce il vostro sdegno.
Mar. Buon ser Tobia, siate paziente per questa notte, perchè dall’istante in cui è venuto il giovine paggio dalla padrona infino ad ora ella si è mantenuta di un umore pessimo. Rispetto a Malvolio, lasciatelo acconciare da me: se non me ne farò giuoco in guisa da renderlo di proverbio, di pubblico riso, credete ch’io non ho neppur tanto spirito, quanto ce ne occorre per andar a letto: so bene di poterlo fare.
Tob. Ditecene, ditecene qualche cosa.