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LA DODICESIMA NOTTE

O QUEL CHE VORRETE



ATTO PRIMO


SCENA I.

Un appartamento nel palazzo del Duca.

Entrano il Duca, Curio signori, musici e seguito.

Duc. Se la musica è l’alimento dell’amore, suonate, e fatemene udire fino a che la mia passione, troppo divampando, soccomba e spiri. Ripetete quel passo. V’era una cadenza sì flebile, ch’esso fece sul mio orecchio e sull’anima mia l’impressione del tepido zeffiro, il di cui soffio, sfiorando un campo di viole, fura loro e diffonde dolci profumi. — Ma basta; questi suoni non son più così dolci come erano dianzi. Oh senso dell’amore, quanto sei vivo, e come avido sei di ogni cosa nuova! Vasto al par del mare e com’esso accogliendo tutto nel tuo seno, quello che vi entra, quale che ne sia il prezzo, degenera e perde ogni splendore in un istante. La passione dell’amore è così feconda in forme mutabili, che null’altro v’ha che adegui le sue fuggitive e bizzarre fantasie.

Cur. Volete andar alla caccia, signore?

Duc. Di che, Curio?

Cur. Della damma.

Duc. È quello che fo, e inseguo la più nobile e la più bella che veduta mi abbia. Ah! la prima volta che i miei occhi si abbatterono in quelli d’Olivia, mi parve che il suo alito rendesse più puro l’etere, e da quel momento fui cambiato in cervo, e i miei