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ATTO QUINTO 53


Prin. Corriamo alle nostre tende, come capriuole fuggenti per la pianura. (esce con Ros., Cat. e Mar.; entrano il Re, Biron, Longueville e Dumain vestiti dei loro abiti consueti)

Re. Iddio vi salvi, bel sere! Dov’è la Principessa?

Boy. È andata nella sua tenda. Vostra Maestà ha qualche ordine da darmi per lei?

Re. Ditele che la prego di concedermi un minuto di udienza.

Boy. Lo farò signore, e son sicuro che essa vi renderà pago. (esce)

Bir. Quell’uomo fa pompa d’ingegno, ch’egli pone in mostra di tratto in tratto, e, rubatore dei bei motti altrui, rivende la sua derrata alla vigilia delle feste nelle assemblee, nei mercati, e nelle fiere, mentre noi, che all’ingrosso la spacciamo, non traiamo neppure un quinto del profitto che egli ne ricava. Colui fa fortuna colle donne, e dalla nostra avola Eva in poi tutte le avrebbe sedotte con quelle belle maniere che il fragile sesso in lui trova. Egli canta con grazia, e nell’arte delle cerimonie non ha chi lo vinca. Le signore lo chiamano mio cuore, e la terra gli sorride sotto i piedi. Chi non vuol essere disgraziato del sesso gentile è costretto a fargli omaggio, e a chiamarlo il Boyet della lingua di miele.

Re. Che recisa gli sia quella lingua, e gliel’auguro di cuore, perchè fu esso che confuse il paggio di Armado. (entrano la Principessa preceduta da Boyet, Rosalina, Maria, Caterina e seguito)

Bir. Mirate, esse vengono! Oh arte del vivere, qual eri tu prima che quel uomo nascesse? e quale sei ora?

Re. Salute, dolce signora, e lieti giorni: siam venuti a visitarvi, e ci proponiamo di condurvi alla nostra Corte, se accordar ci volete tal favore.

Prin. Non escirò da questo parco, e voi pensate ad osservare il vostro voto. Nè Dio, nè me amiamo gli uomini spergiuri.

Re. Non mi fate delitto di una cosa, di cui voi siete cagione. È la virtù dei vostri occhi che mi fa violare il mio giuramento.

Prin. Voi chiamate virtù, quello che dovreste appellar vizio, perchè non mai la virtù fece conculcare voti sacri. Pel mio verginale onore, così puro ancora, come i gigli che niuna mano ha profanato, protesto che quand’anche mi si facessero soffrire le più orribili torture, non acconsentirei mai ad accettare un asilo nel vostro palagio, tanto abborro di esser cagione che si manchi a giuramenti fatti al Cielo, con tutta la sincerità del cuore!

Re. Ma voi conduceste qui una vita solitaria e trista, senza