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ATTO QUARTO |
Re. Chi ne tradisce qui?
Cost. Toccherà voi l’indovinarlo.
Re. Non ho tempo da perdere; vattene.
Giac. Supplico Vostra Altezza di leggere questo foglio: fu il nostro curato che disse che avevate ragione di farlo.
Re. Biron, (dandogli la lettera) leggete. — Da cui l’avesti? (a Giac.)
Giac. Da Costard.
Re. E tu? (a Cost.)
Cost. Da don Adramadio, don Adramadio.
Re. Ebbene! che avete? Perchè la lacerate?
Bir. Era cosa da nulla, signore; non abbiate alcun timore.
Long. Quella lettera lo commosse, bisogna esaminarla.
Dum. (raccogliendone i brani) Fu scritta da Biron; ecco qui il suo nome.
Bir. (a Cost.) Ah bastardo insensato! tu nascesti per mia vergogna. — Son colpevole, mio sovrano, son colpevole, lo confesso.
Re. E di che?
Bir. Voi siete tre pazzi, a cui manca solo il quarto, e sono io. Noi tutti, mio sovrano, commettemmo il medesimo peccato, e meritiamo di morire. — Congedate coloro, e ve ne dirò di più.
Dum. Ora il numero è pari.
Bir. Sì, siamo quattro. — Vogliono andarsene quelle tortore?
Re. Itevene, amici; andate.
Cost. Le persone oneste se ne vadano, e i traditori rimangano. (esce con Giac.)
Bir. Miei dolci signori, miei cari amanti, abbracciamoci; noi siamo così fedeli nei nostri giuramenti, come lo possono essere la carne e il sangue. Il mare avrà sempre il suo flusso e riflusso, il cielo mostrerà sempre la sua volta stellata; il sangue dei giovani ardenti non obbedirà mai ai consigli della fredda vecchiaia. Noi non ci possiamo allontanare dal termine pel quale slam nati. Ond’è che siamo costretti a divenir spergiuri.
Re. Come! I brani di quella lettera contengono forse qualche composizione amorosa?
Bir. Me lo chiedete? Ma chi può vedere la celeste Rosalina senza piegare dinanzi a lei il capo, come fa il selvaggio Indiano dinanzi al sole nascente? Chi può, abbagliato dal suo splendore, non umiliar la fronte fino a baciare la polvere? Qual occhio audace, fosse egli penetrante come quello dell’aquila, oserebbe fissare in lei i suoi sguardi, senza rimanere acciecato dai raggi della sua maestà?