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ATTO QUINTO | 403 |
tre sarti, ho avute molte contese, e sono stato sul punto di terminarne una colla spada alla mano.
Giac. Come vi piace quest’originale signore?
Duc. Assai.
Piet. Dio voglia ricompensarvene, signore! Desidero che voi pure a me piacciate. Io corsi qui in fretta, signore, in mezzo a tanti sposi, per giurare come il matrimonio l’impone, e spergiurare quando il calor del sangue sarà passato. Una povera giovane, signore, abbastanza deforme, ma con un cuor tutto mio, è la mia sposa; fu un mio capriccio di voler quella appunto, che nissuno aveva voluto. Le virtù albergano come gli avari sotto povere spoglie: e così fa appunto anche la perla della conchiglia.
Duc. Sull’onor mio, il suo spirito è vivo e sentenzioso.
Piet. Esso è simile alla pietra che lancia il pazzo, mio signore.
Giac. Torniamo alla tua contesa. Come seguì essa?
Piet. Presso a poco così. Io disapprovai il modo con cui un certo cortigiano si era tagliata la barba, ed egli mi mandò a dire che se io non trovava la sua barba ben fatta, egli credeva che essa lo fosse benissimo, ed era quella che chiamasi una risposta di Corte. Io gli sostenni ch’essa era mal tagliata, ed ei mi rispose che l’aveva fatta tagliar così, perchè così gli piaceva, risposta caustica. Io insistei, ed egli mi trattò da dissennato, risposta inurbana. Io persistei, ed ei mi smentì, risposta da duellatore. Io mi mantenni fermo, ed egli mi volse le spalle, atto che esige sangue. Fino a questo punto ne andammo, dopo di che seguì la catastrofe.
Giac. Quale fu?
Piet. Sguainammo le spade, le incrociammo, e vistele lunghe del pari, ci siamo separati.
Giac. La conchiusione era degna di tai campioni. (entrano l’Imeneo conducente per mano Rosalinda in abiti da donna e Celia. S’ode una musica dolce)
Im. Il Cielo è in allegria, quando la tenerezza e la pace uniscono gli uomini. — Buon duca, accogli la figlia tua, e dimenticando la tua patria, gusta con lei giorni sereni. L’Imeneo scese dalla volta immortale, per unirla a questo sposo fedele a cui era destinata.
Ros. (al Duc.) A voi mi do, perocchè son vostra: a voi mi do, (a Orl.) perocchè vi appartengo.
Duc. Se i miei occhi non m’ingannano, tu sei mia figlia.
Orl. Se il falso io non discerno, voi siete la mia Rosalinda.
Feb. Se la sua presenza e le sue forme son vere... addio, mio amore.