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396 COME VI PIACE

foresta, ei mi condusse dai duca che mi fu benigno d’ogni soccorso, e mi raccomandò alle core della sua fraterna tenerezza. Mio fratello mi fece entrare poscia nella sua grotta, e là spogliandosi, vedemmo che la leonessa gli avea fatto una ferita sotto un braccio, che non areva mai cessato di mandar sangue. Una subita debolezza quindi lo comprese, e svenendo, chiamò Rosalinda. Io lo rianimai, gli fasciai la piaga, e dopo un po’ di tempo ei mi mandò qui sebbene straniero, per istruirvi di quest’avventura, per iscusarsi d’aver mancato al ritrovo, e perchè consegnassi questo drappo al pastorello, ch’ei suole per giuoco chiamar Rosalinda. (Rosalinda sviene)

Cel. Ganimede, mio caro Ganimede, che hai?

Ol. A molti manca il cuore alla vista del sangue.

Cel. Cugino... Ganimede!...

Ol. Egli ritorna in sè.

Ros. Vorrei esser nella mia capanna.

Cel. Vi condurremo in essa. Dategli voi pure il braccio.

Ol. Rassicuratevi, giovine. Ma siete voi veramente un uomo? Voi non ne avete il coraggio.

Ros. È vero, lo confesso. Dite a vostro fratello l’effetto che fece in me tal racconto. Oimè!

Ol. Non vi affliggete di più. Fatevi coraggio. Siate uomo.

Ros. Mi industrio per ciò: ma davvero avrei dovuto nascer donna.

Cel. Voi impallidite ancora; ve ne prego, entriamo nella capanna. Caro signore, venite con noi.

Ol. Volentieri, e andrò quindi da mio fratello per dirgli che voi, Rosalinda, gli perdonate.

Ros. Molte altre cose ancora gli direte: per ora, seguiteci soltanto. (escono)