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ATTO QUARTO 393

per ghirlanda della vittoria. Non sapreste alcuna canzone opportuna?

Sign. Sì, signore.

Giac. Cantatela: non importa su qual tuono, purchè facciate rumore.

Canzone.

Sign. Che cosa daremo a quegli che ha ucciso il cervo.

Sign. Gli faremo portar la sua pelle e le sue corna.

Sign. E lo condurremo quindi a casa cantando: non arrossite di portar le corna: esse erano di moda anche prima che nasceste. Il padre di vostro padre le portò, e l’avolo del vostro bisavolo ne fece il suo adornamento. Le corna non son dunque cosa da spregiarsi, se tanti degni personaggi le videro spuntare sulle loro teste. (escono)

SCENA III.

La Foresta.

Entrano Rosalinda e Celia.

Ros. Che ne dite ora? Non è passato il tempo fermato? Eppure Orlando non viene.

Cel. L’amore l’avrà fatto addormentare. Altri si avanza in vece sua. (entra Silvio)

Sil. Reco un messaggio a voi, bel giovine. La mia cara Febèa mi ha detto che vi portassi questa lettera dì cui ignoro il contenuto, ma che giudicandone dal suo aspetto cruciato e dal suo umore vendicativo, dovrebb’essere certamente piena di collera. Perdonatemi, ve ne supplico, perchè io non sono che un innocente messaggero.

Ros. (dopo aver letto la lettera) La pazienza stessa fremerebbe a tal lettura, e contenderebbe per tale insulto. Ella mi dice che io non son bello, ch’io non son civile, che son superbo, e che non potrebbe amarmi, quand’anche gli uomini fossero così rari come le fenici. Certo non è il suo amore ch’io voglio. Perchè dunque mi scrive così? Su, pastore, consenti, che hai inventata tu questa lettera.

Sil. No, vi giuro che fu Febèa che la scrisse.

Ros. Via, m’ingannate. Vidi la di lei mano, quella sua turpe mano color di piombo, e dico che questa non può essere sua scrittura.