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ATTO TERZO 387

potete, perchè non siete merce offeribìle ad ogni trafficante. Chiedete perdono a questo giovine, amatelo, e accettatene le dichiarazioni: la laidezza divien più laida quando vuole umiliar gli altri: pastore, ella è tua sposa; addio.

Feb. Bel giovine, garritemi per un anno intero: mi piacciono più le vostre invettive, che le carezze di costui.

Ros. Egli si è innamorato dei difetti di questa pastorella, ed ella vuol, credo, innamorarsi del mio sdegno. Se questo è, io le dirò parole di cruccio ogni volta che ella ti vibrerà (a Sil.) sguardi minacciosi. Perchè mi guardate ora così? (a Feb.)

Feb. Non perch’io vi voglia alcun male.

Ros. Non diventate amante di me, ve ne prego; perch’io son più falso dei giuramenti che si proferiscono in ubbriachezza, e inoltre non vi amo. Se volete sapere la mia casa, ella è qui vicino al bosco degli olivi. Volete venire, sorella? (a Cel.) Andiamo. Pastore, stringila da presso, e tu, pastorella, guardalo con occhio più mite, nè essere così superba; sebbene ognuno possa vederti quale sei, alcuno non ha nondimeno la vista più intenebrata di lui per te. Andiamo a raggiungere il nostro armento. (esce con Cel. e Cor.)

Feb. In verità, pastore, trovo ora che la tua vista ha molto potere. Chi amò mai che non amasse al primo sguardo?

Sil. Cara Febèa.

Feb. Che dici, Silvio?

Sil. Compiangimi, dolce Febèa.

Feb. Veramente mi dolgo del tuo stato, mio gentil Silvio.

Sil. Quando le pene altrui affliggono, si dovrebbe pensare ad alleggiarle. Se vi affanna il dolore cagionato in me dalla tenerezza, concedetemi il vostro amore, e allora non avrete più ambascie, nè io dispiaceri.

Feb. n mio amore tu lo hai.

Sil. Aspiro anche alla felicità di possedervi.

Feb. È un essere troppo avidi. Vi fu un tempo, Silvio, in cui ti odiavo: non è già ch’io ti ami ora; ma poichè tu puoi così bene discorrere sopra l’amore, soffrirò la tua compagnia che m’era altra volta infesta, e mi varrò di te senza che tu debba chiedermene la ricompensa.

Sil. Il mio amore è così puro, così perfetto e così avvezzo alle privazioni, che crederei fare la più abbondante messe, prendendo soltanto le sparse spiche, dopo coloro che avran fatta la raccolta; non mi ricusate di tratto in tratto un sorriso, ed esso mi appagherà.