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ATTO TERZO | 383 |
tutto procedente da disperazione, cose che voi non avete. Invece io veggo che siete assai ricercato nei vostri abbigliamenti, ciò che prova che voi v’amate ancora molto più, che non amiate gli altri.
Orl. Bel giovine, vorrei poterti far credere che amo.
Ros. Io crederlo? Vi sarebbe facile del pari il persuaderlo a quella che voi amate, di cui nullameno ella vorrà mostrarsi convinta più presto, che non vorrà confessare di riamarvi; una delle cose per le quali le donne dan sempre una mentita alla loro coscienza. Ma ditemi in buona fede, siete voi che scrivete sugli alberi quei versi che fan tanto elogio di Rosalinda?
Orl. Ti giuro, giovine, per la bianca e bella mano di lei, che son io: sì, io sono quello sfortunato.
Ros, Ma siete poi così innamorato come narrano le vostre rime?
Orl. Nè la rima, nè alcun altro mezzo, potrebbero esprimere tutto il mio amore.
Ros. L’amore non è che follìa, e meriterebbe, come i pazzi, l’ospitale e le verghe: quello che fa che non s’abbia ricorso a questi mezzi per guarire gl’innamorati, è che siffatta frenesia è così comune, che quelli che dovrebbero sanarla, ne son pure tocchi: nondimeno mi studierò di guarirvi con buoni consigli.
Orl. Avete mai guarito nessun altro amante in tal guisa?
Ros. Sì, n’ho guarito uno, e appunto nel modo che sto per dirvi. Il suo farmaco era d’immaginarsi ch’io fossi la sua innamorata, e ogni giorno io lo costringevo a farmi la corte. Assumendo il carattere di fanciulla capricciosa e incostante, piena di fantasie bizzarre, leggera, volubile, fantastica, ridendo e piangendo volta a volta senza motivo, ostentando tutte le passioni senza sentirne alcuna, come fanno la maggior parte delle giovani, ora io l’amavo, ora lo detestavo, ora l’accoglievo con gioia, ora lo rigettavo da me; qualche volta piangevo di tenerezza, qualche volta non lo degnavo d’uno sguardo, cosicchè feci tanto alla fine, ch’egli passò da un eccesso d’amore a uno di follia, e abborrendo il mondo intero, andò a finire i suoi dì in un chiostro. È così ch’io l’ho sanato, e così guarirò voi se volete.
Orl. Non mi cale d’esser guarito in tal guisa, amico mio.
Ros. Vi guarirei, se voleste soltanto acconsentire a chiamarmi Rosalinda, e a venir tutti i giorni nella mia capanna per farmi la corte.
Orl. Oh! quanto a ciò, ti giuro sul mio onore che acconsento: dimmi dove abiti.
Ros, Venite con me e vi mostrerò il mio ricetto, e lungo la via m’insegnerete voi pure la vostra dimora: volete venire?