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ATTO TERZO 381


Orl. No, e potrei rispondervi come merita la domanda.

Giac. Volete che ci assidiamo, e che declamiamo tutti due contro le nostre amanti, contro il mondo e la nostra trista fortuna?

Orl. Non vuo’ riprendere nessuno nel mondo tranne me, di cui conosco bene i difetti.

Giac. Il più gran difetto che abbiate è d’essere innamorato.

Orl. È un difetto che non cambierei colle vostre più belle virtù. Sono stanco di voi.

Giac. In fede mia, cercava un pazzo allorchè v’ho trovato.

Orl. Ei s’era annegato nel fiume: guardate nell’acqua, e lo vedrete.

Giac. Vi vedrò me stesso.

Orl. Che reputo un pazzo o uno zero.

Giac. Non mi fermerò più a lungo con voi: addio, messer amore.

Orl. Godo della vostra partenza: addio, signore malinconico. (Giac. esce; Celia e Ros. s’avanzano)

Ros. Vuo’ parlargli col tuono d’un valletto impertinente, e recitar la parte d’uno scapestrato. — Olà, boscaiuolo, udite?

Orl. Assai bene: che volete?

Ros. Che ora è?

Orl. Dovreste piuttosto chiedermi a qual parte del dì siamo giunti, perchè non vi sono orologi nella foresta.

Ros. Non vi son dunque veri amanti, altrimenti i sospiri mandati da essi ogni minuto, i gemiti d’ogni istante, segnerebbero lo scorrere del tempo neghittoso bene al pari d’un orologio.

Orl. E perchè chiamate neghittoso il tempo? Non sarebbe stato più conveniente il dirlo veloce?

Ros. No; il tempo cammina con passo differente, secondo la differenza delle persone: io vi dirò con chi esso procede lento, con chi trotta, con chi galoppa e con chi si ferma.

Orl. Udiamo: ditemi, con chi trotta?

Ros. Trotta colla giovinetta dal dì del contratto fino a quello in cui il matrimonio è celebrato: quand’anche l’intervallo non fosse che di sette giorni, esso è così penoso, che sembra durare sette anni.

Orl. E con chi va di passo ordinario?

Ros. Col prete che non sa il latino, e col ricco che non ha la gotta: il primo dorme tranquillo, perchè non può studiare, e il secondo mena un’allegra vita, perchè non prova alcun dolore: l’uno è scevro del fardello d’una sterile scienza, l’altro non sa