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ATTO TERZO


SCENA I.

Una stanza nel Palazzo.

Entrano il Duca Federico, Olivero, Signori e seguito.

Duc. Non l’aver più visto dappoi? Non può essere, non può essere; e se la clemenza non prevalesse in me, non andrei a cercar più lontano altri oggetti della mia vendetta: ma pensaci bene, disotterra tuo fratello dovunque ei sia, riconducilo a me dinanzi, o rinunzia all’idea di vivere in questo paese. Fino a che non possa giustificarti dei sospetti che abbiamo concepiti contro di te, noi c’impossessiamo delle tue terre e di ogni tua proprietà.

Ol. Oh, se Vostra Altezza potesse leggere nel mio cuore! Non mai in vita mia io amai mio fratello.

Duc. Tanto più scellerato sei. Su via, cacciatelo dal palazzo; e si proceda alla confisca dei suoi beni: si faccia senza indugio e senza attendere ad alcuna rimostranza. (escono)

SCENA II.

La Foresta.

Entra Orlando con un foglio.

Orl. Restate qui appesi, miei versi, e rendete testimonianza dell’amor mio: e tu, regina della notte, dalla triplice corona, dall’alto della tua pallida sfera abbassa i tuoi casti sguardi, sul nome della tua bella cacciatrice che domina in questo mio cuore. Oh Rosalinda! io scolpirò in questi alberi i miei pensieri affinchè tutti quelli che passeranno di qui, veggano quant’io onorassi la tua virtù. Affrettati, Orlando, affrettati a incider sopra ogni scorza: Rosalinda è bella, Rosalinda è casta, Rosalinda è una meraviglia ineffabile. (esce; entrano Corino e Pietra-del-paragone)

Cor. Come vi piace questa vita pastorale, messer Pietra-del-paragone?

Piet. Schiettamente parlando, pastore, ella è per se stessa