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364 COME VI PIACE

si manifesti. Addio, signore; quando saremo in un altro mondo migliore di questo, sarò lieto di fare maggior conoscenza con voi e di ottenere la vostra affezione.

Orl. Resto pieno di gratitudine. Addio. (Le Beau esce) Così io cado di Scilla in Cariddi: da un fratello tiranno a un tiranno principe... oh mia celeste Rosalinda! (esce)

SCENA III.

Una stanza nel palazzo.

Entrano Celia e Rosalinda.

Cel. Che, cugina! cara Rosalinda! Cupido, abbi pietà: neppure una parola?

Ros. Non una da gettare a’ cani.

Cel. Le tue parole son troppo preziose, perchè gettar debbansi a’ cani, ma lasciane cader qualcuna su di me: dichiarami quali sono i tuoi sentimenti.

Ros. Oh come pieno di spine è questo miserabile mondo!

Cel. Non vi son che cardi, cugina, e cardi selvatici: se non andiamo pel retto sentiero, essi ci squarcieran le vesti.

Ros. Se offendessero solo le mie vesti, non le curerei: ma quelle spine son nel mio cuore.

Cel. Fa uno sforzo per liberartene.

Ros. Lo farei, se credessi che uno sforzo potesse giovare.

Cel. Su via, giova lottare contro le passioni.

Ros. Oh, le mie passioni pugnano con un lottatore migliore di me.

Cel. Il Cielo ti protegga. È egli possibile che tu ti sia così di subito innamorata di quel giovine?

Ros. Il duca, mio padre, amava con passione suo padre.

Cel. Ne vien per ciò che tu debba amare con passione il figlio? Seguendo tal logica, io dovrei odiarlo, perchè mio padre grandemente odiava il padre suo: nondimeno non odio Orlando.

Ros. Te ne prego, per amor mio, non odiarlo.

Cel. Perchè non l’odierei? Non lo merita egli?

Ros. Permetti dunque ch’io l’ami almeno, e dal mìo amore prendi argomento di amarlo. — Mira, viene il duca.

Cel. Cogli occhi pieni di collera. (entra il Duca Federico con seguito)

Duc. Affrettatevi, signora, a partire da questa Corte.

Ros. Io, mio zio?