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342 LA NOVELLA D'INVERNO


Paol. Se il nostro giovine prìncipe (la perla dei fanciulli) fosse vissuto fino a quest’ora, egli avrebbe ben figurato al fianco di quest’altro giovinetto: non v’era un mese di differenza nella loro età.

Leon. Tacete; voi sapete che egli muore per me una seconda volta, quando ne odo parlare. Allorchè vedrò questo giovine, i vostri discorsi, Paolina, potranno farmi impazzire; eccoli che si avanzano. — (rientra Cleomene con Florizel, Perdita e seguito) Principe, vostra madre fu ben fida al suo letto nuziale, poichè quando vi concepì, ricevè l’impronta perfetta dell’imagine dell’illustre padre vostro. Se non avessi che ventun anni, (così è scolpita l’effigie di lui in voi, e così ne avete ogni moto ed ogni sembianza) io vi chiamerei fratello, come chiamavo lui con tal nome, e vi parlerei di alcune follíe giovanili, che commettemmo insieme. Voi siete ricevuto qui con tutta la tenerezza, e la vostra sposa è una vera Dea. Oimè! ho perduto una coppia di figli, che avrebbero potuto brillare fra il cielo e la terra, ed eccitare quell’ammirazione, che voi, amabili giovani, eccitate! Io perdei ancora, per la mia avventatezza, l’amicizia del vostro virtuoso padre, che desidererei di rivedere un’altra volta nella mia vita, quantunque essa sia piena di sventure.

Flor. Signore, è per suo ordine ch’io son venuto in Sicilia, ed ei mi commise di farvi tutti quegli augurii, che un fratello può fare ad un fratello. Se l’infermità, da cui è domo, gli avesse lasciato un po’ di vigore, egli avrebbe varcato lo spazio che divide i vostri troni, per godere del piacere di riveder voi, che egli ama (sono le espressioni che mi ha comandato di usare) più che tutti gli scettri, e più che tutti i re vivi che li portano.

Leon. Ah mio fratello, principe degno, gli oltraggi ch’io ti ho fatti risvegliano nella mia anima tutto il mio dolore, e tanta tua bontà mi fa sentire doppiamente il rimorso della mia ingratitudine! Siate il benvenuto alla mia Corte, come lo è la primavera sulla terra. Ed ha egli dunque esposta ancora questa meraviglia di beltà ai crudi trattamenti dell’insensibile Nettuno, per venire a salutar un uomo che non merita nulla?

Flor. Mio caro principe, ella viene dalla Libia.

Leon. Dove il bellicoso Smalo è tanto temuto?

Flor. Sì, viene di là, e dalla Corte di quel principe, le di cui lagrime, al momento che se ne è separata, provato han bene che ella era sua figlia. È da quel paese che, secondati da un gagliardo vento di mezzodì, abbiam preso le mosse per venir a compiere l’ufficio che affidato mi avea mio padre, di visitare Vostra Maestà.