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318 LA NOVELLA D'INVERNO


Cam. Son già sedici anni che non ho veduto il mio paese. Desidero di morirvi, quantunque abbia respirata un’aria straniera durante la più gran parte della mia vita. Il re, mio signore, pentito, mi ha mandato a richiedere: io potrei recare qualche sollievo ai suoi mali, o almeno ho la presunzione di crederlo; questo motivo è un secondo pungolo che mi eccita a partire.

Pol. Se mi ami, Camillo, non cancellare tutti i tuoi servigi, lasciandomi, il bisogno che ho di te, è la tua bontà che l’ha fatto nascere; meglio era non possederti mai, che perderti adesso; tu hai cominciato opere, che niuno è in istato fuor di te, di ben condurre; devi dunque restare per portarle ad un termine, o nullo sarà il merito delle tue cure passate. S’io non le ho ricompensate abbastanza (e non posso, lo so, ricompensarle a dovere), il mio studio ormai sarà in provarti meglio la mia riconoscenza, accrescendo quell’amicizia che regna fra noi. Te ne prego, non parlarmi più della Sicilia, di quella fatal contrada il di cui nome solo mi affligge e mi ricorda con dolore la memoria di mio fratello, quel re pentito, come tu lo chiami, di cui si deve anche adesso deplorare la perdita che fece dei figliuoli e della più virtuosa delle regine. Dimmi, quand’hai tu veduto il principe Florizel, mio figlio? È una sventura pei re, l’aver prole indegna, ma meno sventura non è il perderla, allorchè conosciute se ne sono le virtù.

Cam. Signore, tre giorni fa ho veduto il principe, ma quali siano le sue occupazioni, non lo so: solo ho osservato, che da qualche tempo egli vive ritirato dalla Corte, e che si vede meno assiduo agli esercizi degli altri giovani.

Pol. Ho fatto io pure la medesima osservazione, Camillo, e volli fosse più dappresso scandagliato: ho saputo che ei va quasi sempre nella capanna di un pastore dei più rozzi, che da uno stato di miseria è giunto, senza che sappia in qual modo, ad una ricchezza immensa.

Cam. Ho inteso parlar di quell’uomo, signore, egli ha una figlia egregia, la di cui riputazione si estende molto al di là di quello che potrebbe credersi, vedendola uscire da un miserabile tugurio.

Pol. È quello che anche a me fu narrato: ma temo il vezzo che attira colà nostro figlio. Bisogna che tu m’accompagni; andrem sconosciuti a parlar con quel pastore, e dalla sua semplicità rileveremo facilmente la segreta cagione che ivi attira il figliuol mio. Seguimi, te ne prego, e abbandona ogni idea della Sicilia.

Cam. Obbedirò ai vostri comandi.

Pol. Mio caro Camillo, andiamo a travestirci. (escono)