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ATTO TERZO 309

imparziale, sia per la convinzione del delitto, sia per la sua assoluzione. — Fate inoltrar la prigioniera.

Uff. È volere di Sua Maestà, che la regina compaia in persona dinanzi a questa Corte. — Silenzio. (Ermione viene condotta fra le guardie, Paolina e le Signore la seguono)

Leon. Leggete l’atto d’accusa.

Uff. Ermione, sposa dell’illustre Leonte re di Sicilia, tu sei citata ed accusata d’alto tradimento, per esserti resa adultera con Polissene re di Boemia, e aver cospirato con Camillo, onde togliere la vita al signore nostro sovrano, tuo degno sposo: e una tal frode essendosi in parte scoperta, tu, Ermione, mancando alla fede e all’obbedienza d’ogni buon suddito, hai loro consigliato per sottrarsi al castigo, di fuggire durante la notte, e n’hai protetta l’evasione.

Er. Tutto quello che debbo dire, tendendo necessariamente a negare i fatti di cui sono accusata, e non avendo altra testimonianza da produrre in mìo favore che quella ch’esce dalla mia bocca, non mi servirà, lo veggo, il rispondere colla formola dell’innocenza, che non sono colpevole: la mia virtù, non essendo riputata che impostura e fallacia, la dichiarazione ch’io ne farei, sarebbe creduta bugiarda. Ma ecco quello che debbo aggiungere. — Se le potenze del Cielo abbassano i loro sguardi sulle azioni umane, (come certo è ch’esse le veggono) io non dubito che la verità non distrugga quest’accusa, o che la tirannia non tremi dinanzi alla paziente innocenza. — Voi, signore, voi sapete meglio d’ogni altro (quantunque fingiate ignorarlo di più) che tutta la mia vita passata è stata così riservata, così casta, così fedele, quant’è ora infelice: e tanto lo è che l’istoria non potrebbe ricordare donna più sventurata, nè la poesia immaginarne alcuna: esaminate la mia condizione: la compagna del letto d’un re, che possedeva la metà d’un trono, la figlia d’un gran monarca, la madre d’un principe è qui tradotta in sembianze d’accusata, è costretta a parlare per salvar la sua vita, il suo onore, dinanzi a tutti quelli a cui piace di venirla a vedere e ad ascoltare! In quanto alla vita, io ne fo quel caso che debbo fare d’uno stato di dolore e di sventura che vorrei accorciare. Ma l’onore dev’essere da me trasmesso intatto ai figli miei, ed è quello solo ch’io difendo. Me ne appello alla vostra coscienza, signore: dite quanto mi amavate prima che venisse Polissene, e quanto io lo meritavo. E dappoichè egli è venuto, in qual guisa ho io potuto rendermi colpevole, onde apparir qui nello stato in cui sono? Se mai ho varcato d’un passo i limiti dell’onore, sia