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308 | LA NOVELLA D'INVERNO |
ATTO TERZO
SCENA I.
La stessa. — Una strada.
Entrano Cleomene e Dione.
Cleom. Il clima è puro, ivi si respira un’aria piena di dolcezza; l’isola è fertile; e il tempio vince di molto i racconti che comunemente se ne fanno.
Dion. Io rimasi abbagliato dalla pompa degli abiti, dalla venerabile maestà dei sacerdoti, e dal sacrifizio! Qual augusta cerimonia! Qual funzione solenne!
Cleom. Ma più che tutto sublime era la voce dell’oracolo, che balenando irruppe, simile al folgore di Giove: i miei sensi ne rimasero esterrefatti.
Dion. Se il nostro viaggio ha un esito felice per la regina, (così lo vogliano gli Dei!) come felice è stato, bello e celere per noi, le nostre fatiche saranno bene ricompensate.
Cleom. Grande Apollo, volgi al meglio ogni cosa! A me non piacciono quei bandi che vogliono trovar colpe in Ermione.
Dion. Il rigore di questo processo farà vieppiù risaltare l’innocenza di lei. Allorchè una volta l’oracolo, munito del suggello del gran sacerdote d’Apollo, scoprirà quel che racchiude; qualche gran segreto verrà fatto di cognizion pubblica. Su, torniamo a cavallo; e sia lieto il fìne! (escono)
SCENA II.
La stessa. — Una corte di Giustizia.
Si veggono seduti Leonte, Signori ed Uffiziali.
Leon. Questa Corte radunata, noi lo dichiariamo con dolore, porta un crudel colpo al cuor nostro. L’accusata è figlia di un re, nostra sposa, e sposa che non è stata che troppo amata da noi. Ci si assolva alfine dal rimprovero di tirannia, colla pubblicità che diamo a questa procedura, in cui la giustizia vigerà