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294 LA NOVELLA D'INVERNO


Leon. È la condotta appunto ch’io avrei seguito. Del suo onore non mai le favellerò.

Cam. Ite dunque, signore, e mostrate al re di Boemia e alla vostra sposa tutta la calma e la serenità che l’amicizia sa esprimere. Io, coppiere di Polissene, gli porgerò una bevanda venefica.

Leon. Basta; la metà del mio cuore è tuo: che se poi non m’obbedissi troveresti la morte.

Cam. Obbedirò, signore.

Leon. Ecco che assumo le sembianze d’un amico, come tu mel consigli. (esce)

Cam. Oh sfortunata regina! Ma in quale condizione sono io ridotto! Bisogna ch’io avveleni l’onesto Polissene, e la mia scusa per tale opera è l’obbedienza al signore mio, ad un uomo, che in guerra con se stesso, vorrebbe che tutti quelli che gli stanno intorno del pari lo fossero. — Compiendo tale azione, io accrescerò la mia ricchezza: ma quand’anche potessi trovare l’esempio di mille sudditi che, dopo abbattute le persone sacre dei re, prosperato avessero, non per anche tale opera riempirei; e giacchè alcuno non ne ho, e so che la scelleratezza si rifiuterebbe ad eseguire tal misfatto... bisogna che lasci la Corte: ch’io il faccia o no, la mia rovina è inevitabile. Stelle benefiche, splendete ora sopra di me. Ecco il re di Boemia. (entra Polissene)

Pol. Strano in verità! Parmi che il favore di cui godeva declini assai. Neppur parlarmi?... Buon giorno, Camillo.

Cam. Salute, nobile re.

Pol. Quali novelle alla Corte?

Cam. Nulla di straordinario, signore.

Pol. All’aspetto che ha il re, si direbbe che egli avesse perduta una provincia, qualche porzione de’ suoi Stati che molto gli fosse cara. Gli sono andato incontro ora coll’usata cortesia, ma egli volgendo gli occhi altrove, e movendo le labbra a un atto di disprezzo, mi è sfuggito abbandonandomi in preda alle mie riflessioni sopra ciò che ha potuto così mutare la sua condotta.

Cam. Non oserei argomentare, signore.....

Pol. Non osereste argomentare? Dite piuttosto che non volete dirmi quel che sapete. Voi dovete essere a parte certamente del motivo di tal cambiamento. Caro Camillo, il vostro volto alterato è per me uno specchio, in cui io leggo che qualche novità è occorsa.

Cam. Vi è un male infatti, ma ch’io non posso dirvi: ed un tal male ha preso voi.

Pol. Me? Camillo... per quanto è vero che voi siete un gen-