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ATTO PRIMO 293

mondo si racchiude, è nulla del pari! Questa vòlta dei Cieli che ne copre non esiste; la Boemia non esiste; mia moglie non esiste e tutto è vano se ogni cosa non è che nulla.

Cam. Mio caro sovrano, bandite tal pensiero che è dei più funesti.

Leon. Sì funesto, ma vero.

Cam. No, signore, no.

Leon. Sì, ti dico: tu menti. Ti dico che menti, Camillo, e ti abborro. Dichiara che sei un inetto, o un ipocrita che puoi vedere con occhio indifferente il bene o il male, inclinato del pari ad entrambi secondo l’occasione. Se il sangue della mia sposa fosse così corrotto, come lo è il suo onore, ella non vivrebbe neppure il tempo che mette a vuotarsi un orologio da polvere.

Cam. Chi è il suo corruttore?

Leon. Quegli che come una medaglia la porta sempre appesa al collo, il re di Boemia. Se avessi intorno a me servi zelanti e fidi, a cui stesse a cuore l’onor mio come i loro personali interessi, essi farebbero cessar tanta infamia. Tu, suo coppiere, tu, che tratto io ho dall’oscurità, ed innalzato al posto di gran signore;, tu, che veder puoi così chiaramente come il cielo vede la terra e la terra il cielo, quanto sono oltraggiato, tu potresti apprestare una tazza, che chiudesse per sempre gli occchi del mio nemico, e tal pozione sarebbe pel mio cuore un balsamo che il sanerebbe.

Cam. Sì, signore, potrei farlo, e non con una pozione violenta, ma con un liquor mite, i di cui effetti insensibili non tradirebbero la sua malignità come veleno; ma indurmi non so a credere che di tanta perfidia sia stata capace la mia venerata signora.

Leon. Se ne dubiti, esci, e non venirmi più innanzi. Mi credi tu d’immaginazione sì nera, di cervello tanto malato, da cercar di cruciarmi così da me? da lordar la bianchezza del mio talamo, che candido procaccia un dolce sonno, ma che una volta contaminato, si riempie d’acute spine, d’ortiche e di pungoli d’ogni maniera? da far cadere l’ignominia sul sangue del principe mio figlio, che credo esser mio, e che come mio amo? Senza mature ed appaganti ragioni che mi vi forzano, credi tu ch’io volessi sospettare tanta disavventura? Un uomo potrebbe egli trascorrere a tale eccesso di demenza?

Cam. Debbo credervi, signore, e vi libererò dal re di Boemia, purchè quand’egli sarà tolto di mezzo. Vostra Maestà acconsenta a riprender la regina, e a trattarla colla tenerezza di prima, non fosse per altro che per l’interesse di vostro figlio, e per impor silenzio alle lingue che osassero mormorare.