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290 | LA NOVELLA D'INVERNO |
dunque, mio piccolo paggio, con quel tuo occhio color di cera. Amabile silfo, che tanto mi sei caro; tua madre avrebbe potuto?... Oh immaginazione, tu mi immergi il tuo pugnale nel cuore! Tu rendi possibili cose riputate impossibili; stabilisci un commercio coi sogni, operi sopra di noi col mezzo di quello che non esiste, e ogni cosa mercè tua divien credibile: io ne faccio l’esperienza colle idee contagiose da cui sono ora dominato.
Pol. Che cosa ha il re di Sicilia?
Er. Sembra alquanto commosso.
Pol. Che avete, signore? Come va mio caro fratello?
Er. Voi parete agitato da qualche pensiero, signore?
Leon. No, in verità. — (a parte) Come la natura fa qualche volta trasparire la sua folle tenerezza, e si rende da se stessa ludibrio dei cuori! Contemplando il volto di mio figlio, mi è sembrato ei esser tornato indietro ventitrè anni di vita, e mi vedevo colle vesti dell’infanzia, colla mia spada legata negli elsi, per tema che non facesse male al suo signore, come fanno sovente balocchi troppo perigliosi. Quanto doveva allora somigliare a questo garzone! — Fratello, (a Pol.) siete voi così vago del vostro giovine principe, come noi siamo del nostro?
Pol. Allorchè sono vicino a lui, a lui solo penso. Ora è il mio più caro amico, ora il mio nemico, il mio adulatore, il mio guerriero, il mio uomo di Stato, infine tutto; egli mi fa parere un giorno di luglio così breve, come un giorno di dicembre, e colla varietà del suo umor vivace mi sana da quelle idee che mi renderebbero malinconico.
Leon. Questo garzone opera il medesimo con me. Noi vi lasciamo per passeggiare un istante, intanto che attenderete a più gravi bisogne. — Ermione, mostrate quanto ci amate, coll’accoglienza che farete al fratel nostro: tutto ciò che vi è di più raro in Sicilia, gli venga dato in copia; dopo di voi e del figlio mio, è quegli che ha più diritti sopra il mio cuore.
Er. Se vi vien talento di vederci, saremo nel giardino: volete che vi aspettiamo colà?
Leon. Fate quel che vi piace: vi sapremo trovare finchè resterete sotto la vôlta dei cieli. — (a parte) Ora tendo la rete senza che tu te ne avvegga: va, continua! Com’essa gli stringe la mano! Come si arma di tutta l’audacia di una donna dinanzi ad uno sposo indulgente. (escono Pol., Er. e il seguito) Eccoli scomparsi! — Va, mio figlio, va ai tuoi sollazzi! — Tua madre pure si ricrea ed io con essa: ma io recito una parte così fatale, che essa mi condurrà al sepolcro in mezzo ai sibili: dispregi e vitu-