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ATTO PRIMO 289


Leon. Mai, fuorchè una volta.

Er. Due volte dunque ho parlato a proposito? Quale fu la prima? Vi prego di dirmelo. Colmatemi di elogi, e alimentate il mio amor proprio come un uccello domestico: una buona azione che si lascia morire nel silenzio, ne impedisce mille che altre l’avrebbero seguíta: le lodi sono la mercede del nostro sesso: voi potete con un solo bacio farne avanzare più di cento stadii, intantochè col pungolo non potreste farcene percorrere un solo. Ma ritorniamo al fatto; la mia ultima buona opera è stata di farlo rimaner qui; qual fu la prima? Essa ha una sorella primogenita, s’io ben v’intendo: faccia il Cielo che sia stata un’azione virtuosa! Ho parlato a proposito un’altra volta prima di questa: quando? Vi prego di dirmelo, perocchè bramo vivamente di saperlo.

Leon. Fu allorchè dopo tre mesi di amarezza e di lutto, io vi feci dischiudere la vostra candida mano, e le feci impegnar nella mia la fede del vostro amore; allora voi diceste queste parole: son vostra per sempre.

Er. Nobile infatti e santa fu quell’opera. Perciò ho parlato bene due volte, la prima onde ottenere per sempre le bontà del mio sposo, la seconda per prolungare il soggiorno di un suo diletto amico. (dando la mano a Pol.)

Leon. (a parte) Troppo calore, troppo calore! Quando l’amicizia è così ardente, essa imita un altro affetto. Ho un tremor cordis; il mio cuore batte, ma non di gioia, no. Quest’accoglienza può avere un’apparenza onesta e pura; può ricavare la sua familiarità dalla bontà insita, dall’ingenuità di un cuor sensibile, senza comprometter quella che la dimostra: ciò può, lo consento. Ma lo stringersi così le mani, il sorridersi con tale intelligenza come davanti ad uno specchio, per poi sospirare colla mestizia del corno che annunzia la morte del cervo, è cosa che non piace nè alla mia anima, nè al mio cervello. — Mamilio, sei tu figlio mio?

Mam. Sì, mio buon signore.

Leon. (osservando Pol. e Er.) Sei davvero mio figlio?

Mam. Sì, credetemelo, mio signore.

Leon. Non hai però la ruvidezza della mia pelle, e queste escrescenze ch’io mi sento sulla fronte, per ben rassomigliarmi. Nondimeno si dice, che potremmo essere cambiati come due uovi; son le donne che lo dicono, e le donne dicono tutto quello che vogliono. Ma quand’anche fossero false come i cattivi panni ritinti in nero, come i venti, come le acque; false come vorrebbe i dadi un uomo che non conosce limiti fra il mio e il tuo; nondimeno sarebbe sempre vero che questo garzone mi somiglia. Guardami