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288 LA NOVELLA D'INVERNO

potente come quello di un re. Volete andarvene? Mi costringerete a ritenervi qual prigioniero, e non come ospite, ed allora pagherete il vostro scotto lasciandoci, e verrete con ciò dispensato da ogni ringraziamento: che ne dite? Siete mio prigioniero, o mio ospite? col vostro terribile veramente, bisogna che vi decidiate all’uno o all’altro.

Pol. Quand’è così, sarò vostro ospite, signora; perocchè esser vostro prigioniero importerebbe un’idea di offesa, e mi è meno facile l’offendervi, che non lo è a voi il punirmi.

Er. Allora dunque non sarò la vostra carceriera, ma l’ospite vostra e la vostra amica. Mi vien voglia d’interrogarvi sulle follìe del mio sposo, e sulle vostre quando eravate giovani. Dovevate comportarvi con molta iattanza.

Pol. Eravamo due storditi, bella regina, e credevamo non aver mai dinanzi che una dimane interamente simile alla vigilia, riputando di dover restare eternamente adolescenti.

Er. Il mio sposo non era il più tristo fra di voi?

Pol. Eravamo come due agnelli inseparabili, che saltellano insieme ai raggi del sole, e belano l’uno dietro all’altro. Ci ricambiavamo innocenza per innocenza; non conoscevamo l’arte di far male, nè credevamo che alcun uomo far ne potesse. Se avessimo continuata quella vita, e se i nostri deboli intelletti non fossero mai stati esaltati dall’effervescenza di un sangue più impetuoso, avremmo potuto rispondere arditamente al giudice celeste: non colpevoli, posto a parte il peccato originale.

Er. Con ciò volete significare che dipoi commetteste gravi falli.

Pol. Oh mia degna regina! le tentazioni son venute coll’età; perocchè in quei giorni la mia sposa non era che una fanciulla, e la preziosa vostra bellezza non avrebbe fatta allora impressione sugli occhi del mio giovine compagno.

Er. La grazia spero sarà cresciuta in proporzione delle tentazioni; non tirate conseguenze dal vostro discorso, per tema che esse non vi conducano a dire, che la vostra regina ed io siamo cattivi angeli che vi han soggiogati. Però se vi piacesse di accusarne pei falli che vi abbiamo indotti a commettere, fatelo, che vi risponderemo e sapremo giustificarci.

Leon. È egli alla fine vinto?

Er. Resterà, signore.

Leon. A mia inchiesta non volle. Ermione mia cara, tu non parlasti mai più a proposito.

Er. Mai?