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ATTO QUINTO | 277 |
trare in quell’abbazia, ed ecco che da un’altra parte ritorna: questo fatto è inconcepibile. (entrano Antifolo e Dromio di Efeso)
Ant. Giustizia, grazioso duca, accordatemi giustizia. In nome dei lunghi servigi che vi ho resi, e delle ferite che ho ricevute per voi, in nome del sangue che ho per voi sparso, accordatemi giustizia.
Eg. Se il timore della morte non mi toglie il senno, questi è il mio figlio Antifolo ch’io veggo, e quegli è Dromio.
Ant. Giustizia, amabile principe, contro costei! Essa, che voi medesimo mi deste per sposa, mi ha oltraggiato e disonorato coll’offesa più crudele. È superiore ad ogni descrizione quello ch’ella oggi mi ha fatto provare.
Duc. Spiegatevi, e mi troverete giusto.
Ant. In questo dì medesimo, potente duca, ella mi ha tenute chiuse le porte della mia casa, intantochè con alcuni libertini si abbandonava alla gioia e all’ebbrezza di un banchetto.
Duc. Grave è questo fallo: rispondete, donna: avete fatto quel ch’ei vi rimprovera?
Adr. No, mio degno signore. Io, egli e mia sorella abbiamo pranzato oggi insieme. Sciagura all’anima mia, se la nota ch’ei vuol darmi non è falsa.
Duc. Ch’io non rivegga mai più la luce del dì, ch’io non gusti mai più il riposo della notte, se ella non parla il vero.
Ang. Oh donne spergiure! Come mentite entrambe. Io pure son testimonio della vostra onta.
Ant. Mio sovrano, io vi parlo con calma, e so quello che dico. Ebbro, non sono nè furioso, sebbene tanta impudenza potesse fare smarrir la ragion al più saggio: questa donna mi ha tenuto oggi fuor di casa, sicchè io non ho potuto pranzarvi, e questo orefice lo può dire che meco era, e che mi lasciò per andar a prendere una catena che portar mi dovea poco dopo, quantunque poi non venisse ed avesse la temerità di giurare che data me l’avea, facendomi per tal cagione subire un arresto. Giunto prigione fu mandato il mio domestico a casa per prendervi danaro, ma ei ne è ritornato senza. Allora accumulando mille argomenti ho determinato l’Uffiziale ad accompagnarmi ei medesimo fino alla mia dimora, e lungo la via abbiamo incontrato mia moglie e sua sorella con una torma di scellerati in lega fra di loro. Costoro conducevano certo Pinch, specie di scheletro scarno, vil ciarlatano, furfante che la fa da esorcista, e che guardandomi cogli occhi fissi e toccandomi il polso, ha osato sostenere ch’io era