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276 LA COMMEDIA DEGLI EQUIVOCHI


Adr. Giustizia, venerabile duca, contro l’Abbadessa.

Duc. È una donna virtuosa; è impossibile che vi abbia offeso.

Adr. Vogliate ascoltarmi: Antifolo mio sposo, che ho fatto signore di me, e di quanto possedevo a istanza vostra, è caduto oggi in un impeto di follia dei più violenti. Egli è corso per le strade, seguito dal suo servo pazzo al par di lui, oltraggiando i cittadini, entrando per forza nelle loro case, rubando anelli, e quant’altro gli veniva sotto mano che gli piacesse. Son giunta a farlo legare una volta, e a farlo condurre in casa mia, e sono andata tosto a riparare il male che egli aveva commesso qua e là. Con mia sorpresa (non so come sia potuto fuggire) ei s’è sottratto a quelli che lo custodivano, e seguito dal servo suo, agitati entrambi da una passione sfrenata, colle spade nude, ci son venuti sopra, e ci han costretti a correr via, finchè fatti abbastanza forti per non temerli siam venuti a termine di legarli di nuovo: allora essi sono entrati in quell’abbazia, in cui li abbiamo inseguiti. Ma l’abbadessa ne chiude le porte, e non vuole che v’entriamo; onde benefico duca, valetevi della vostra autorità per far sì ch’ei sia tolto da quell’ospizio e condotto a casa sua, per ricevervi i soccorsi opportuni.

Duc. Vostro marito ha servito lungo tempo nelle mie guerre, ed io vi ho data la mia parola di principe, allorchè l’avete sposato, di farvi tutto il bene, e di concedervi tutti i favori che potessero dipendere da me. Su dunque, qualcuno batta a quella porta, e dica all’abbadessa di venire qui. (entra un Domestico)

Dom. Oh, padrona, padrona, fuggite, salvatevi! Il signor mio e il suo servo sono stati riposti in libertà; essi han bistrattati i domestici e legato il dottore, e gli han accesa la barba coi zolfanelli: poi per estinguere l’incendio, v’han gettato sopra fango, che l’ha reso l’uomo più miserabile di questo mondo. Il padrone lo schernisce, e il servo lo percuote; certo se non mandate un pronto soccorso, ammazzeran l’esorcista.

Adr. Taci, insensato, il tuo padrone e il suo servo son qui, e tutto questo bel racconto che ne fai non è che una favola.

Dom. Padrona, sulla mia vita, vi dissi la verità. Dacchè ho veduta sì fatta scena, son corso senza trar fiato. Egli impreca al vostro nome e giura, che mal per voi se vi prendo (grida al di dentro) udite, udite, è esso; è il padrone: fuggite per carità.

Duc. State vicina a me, e non temete nulla. Guardie, apparecchiate le armi.

Adr. Oimè! è mio marito! Voi siete testimoni ch’ei ricompare qui come uno spirito invisibile: un istante fa lo vedemmo en-