Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
ATTO QUINTO
SCENA I.
La stessa.
Entrano il Mercante e Angelo.
Ang. Son dolente, signore, di avervi trattenuto, ma vi assicuro che la catena gli fu consegnata da me, sebbene egli sia tanto villano da negarlo.
Mer. Come vien riguardato quell’uomo in questa città?
Ang. Si dice avventatissimo, quantunque goda di un credito illimitato. Io gli darei tutto quello che possiedo sulla sua semplice parola.
Mer. Parlate sotto voce: mi sembra di vederlo. (entrano Antifolo e Dromio di Siracusa)
Ang. È esso appunto, e porta al collo quella medesima catena che giurava di non aver ricevuta. Buon signore, seguitemi, ch’io gli parlerò. — Messer Antifolo, io stupisco che voi mi abbiate fatto tale oltraggio, ponendomi in simile impaccio: disdicevole era codesto al vostro onore. Negare con tuono sì fermo, con tanti giuramenti d’aver ricevuta quella catena, che ora senza verun riguardo portate! Oltre la vergogna e la prigionia che m’avete fatta subire, voi siete stato di danno ancora a questo onesto amico, che a cagione del nostro litigio non è potuto partire. Voi riceveste da me quella catena, potreste negarlo?
Ant. Non l’ho mai negato, nè mai lo negherò.
Mer. Sì, voi lo negaste, signore, ed anche con giuramento.
Ant. Chi lo dice?
Mer. Io che vi intesi. Voi siete un miserabile, ed è una vergogna che respiriate l’aere che respirano le persone oneste.
Ant. Tu sei un furfante a darmi tale accusa: sosterrò il mio onore e la mia probità, finchè mi rimanga una stilla di sangue.
Mer. Accetto la sfida; e vi proverò che siete un malandrino. (sguainano le spade; entrano Adriana, Luciana, la Cortigiana ed altri)
Adr. Fermatevi, nol ferite, in nome di Dio! perchè egli è pazzo!