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ATTO QUARTO | 265 |
provviste. La nave è apparecchiata, un vento propizio spira da terra: i marinari non aspettano più che il capitano e voi per mettersi in via.
Ant. Che dici, insensato? di che vascello parli? che cosa farnetichi?
Drom. Il vascello di cui m’avete mandato in cerca.
Ant. Stolto, ti ho mandato a cercare una corda, e ti ho anche detto quello che volevo farne.
Drom. Voi non mi avete parlato di corde, mi avete mandato a cercare una barca.
Ant. Esaminerò con maggior agio questa cosa, e insegnerò alle tue orecchie ad ascoltare con miglior attenzione. Va da Adriana, furfante; parti tosto, recale questa chiave, e dille che nello scrigno, che è coperto di un tappeto turchino, sta una borsa piena di ducati: dille che me la mandi; che sono stato arrestato per strada, e che mi abbisogna subito una cauzione: parti. — Uffiziale, io verrò con voi in prigione fino a che egli ritorni. (escono il Mer., Ang., Uff. e Ant.)
Drom. Da Adriana! cioè in casa di quella da cui abbiamo pranzato, e dove una donna mi ha reclamato per marito. Spiacemi di dover tornare dinanzi a quella demente, ma pure sarà forza ch’io obbedisca. (esce)
SCENA III.
La stessa.
Entrano Adriana e Luciana.
Adr. Tali cose ti ha detto? e parlava da senno? era ciò possibile?
Luc. Prima di tutto negò che voi aveste alcun diritto sopra di lui.
Adr. Perchè egli tutti li violava.
Luc. Poscia mi giurò che era qui forestiero.
Adr. E giurò il vero.
Luc. E quando presi le vostre difese...
Adr. Ebbene, che disse?
Luc. L’amore che reclamavo per voi, lo dimandò per sè.
Adr. Con quali ragioni sollecitava il tuo affetto?
Luc. Con argomenti, che in una domanda onesta avrebbero potuto fare impressione. Prima vantò la mia bellezza, poi il mio spirito.