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ATTO TERZO | 261 |
Ant. In quale la Scozia?
Drom. Nelle unghie; me ne avvidi alla sudicieria.
Ant. E la Francia?
Drom. Sulla calva e scurrile sua fronte.
Ant. E l’Inghilterra?
Drom. Albione non v’è, poichè in lei tutto è nero.
Ant. E la Spagna?
Drom. Non l’ho veduta, ma l’ho sentita al calore del suo alito.
Ant. E l’America, e le Indie, e la Fiandra, e i Paesi Bassi?
Drom. Di queste parti non mi sono intrattenuto. Ma per venirne ad una conclusione, la strega di cui vi parlo mi ha chiamato a nome; ha giurato ch’io era suo fidanzato, mi ha parlato dei segni segreti che ho nel corpo, e il tutto con tanta scienza, ch’io ne son rimasto confuso, e son fuggito da lei come dal diavolo. Credo che se non fossi stato ben fermo nella religione, e non avessi avuto un cuore di bronzo, mi avrebbe mutato in qualche mostro, e avrebbe fatto di me ogni ludibrio.
Ant. Va: corri al porto, e se il vento spira da qualche lato atto ad allontanarci da queste rive, non mi fermerò di più in questa città. Se trovi qualche barca che metta alla vela, vieni al mercato, dov’io starò aspettandoti. Quando tutti ne conoscono e noi non conosciamo nessuno, è follia per noi il restare.
Drom. Col medesimo ardore con cui un uomo fuggirebbe un orso per salvar la propria vita, io fuggo da questa creatura che pretende di divenire mia moglie. (esce)
Ant. In verità, qui non vi sono che streghe, ed è bene che ci dipartiamo. Quella che mi chiama marito, è da me odiata: ma le grazie della sua amabile sorella mi han fatto prigioniero. Per non cadere in grave pena è savio ch’io me ne vada. (entra Angelo)
Ang. Messer Antifolo?
Ant. Sì questo è il mio nome.
Ang. Lo so, signore: eccovi la vostra catena. Speravo di raggiungervi prima d’ora, ma l’opera non finita mi trattenne.
Ant. Che debbo io farmi di questa catena?
Ang. Quello che vorrete, signore. L’ho composta per voi.
Ant. Per me? Ma io non ve l’ho ordinata.
Ang. Non una volta, ma due, ma venti. Rientrate in casa, e fate la corte a vostra moglie con questo dono: a ora di cena verrò a trovarvi e a ricevere il danaro.
Ant. Vi prego di prenderlo tosto il danaro, se non volete arrischiare di non averlo mai più.
Ang. Siete gioviale, signore: addio. (esce)