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246 LA COMMEDIA DEGLI EQUIVOCHI


Eg. Duro è il dover tornare su di ciò: nondimeno, onde il mondo sappia che la mia perdita è opera del destino e non conseguenza d’alcun delitto nascosto, vi tesserò l’istoria della mia vita, finchè il dolore mi lascierà la forza di parlare. Nacqui in Siracusa, e vi sposai una donna che non era felice che a cagion mia, e che felice renderei ancora, senza le persecuzioni crudeli della sorte. Io mi vivevo lieto con lei, le nostre ricchezze si accrescevano ogni di coi viaggi fortunati che faceva spesso a Epidamno, allorchè la morte d’un mio commesso avendomi obbligato ad una più lunga assenza, la mia sposa, che non poteva vivere senza di me, s’indusse a raggiungermi nella mia nuova dimora, dove diede in breve in luce due bei fanciulli gemelli, così simili l’uno all’altro, che non potevano venir distinti che dai nomi. Nella medesima ora e nel medesimo nostro albergo, una povera donna sgravossi d’egual fardello, ponendo al mondo altri due gemelli, pure perfettamente simili. Comprai quei due fanciulli dai loro parenti che versavano nell’estrema povertà, e gli allevai per servire i miei due figli. Mia moglie, contenta della sua prole, mi pregava ogni dì di ritornare in patria: dopo molte istanze io m’arresi a lei, ma ebbi assai a pentirmene. Eravamo già lontani una lega da Epidamno quando il mare infuriò, e ne pose innanzi la morte. Ogni chiarore si spense: il firmamento divenne di piombo; le grida di tutti noi s’innalzarono al Cielo, che parve non ascoltarle. I marinai cercarono la loro salute nel palischermo, e abbandonarono il vascello che stava per essere inghiottito. Mia moglie, vegliando sui suoi figli, gli aveva adagiati sull’albero di riserva, quello dì cui si valgono i navigatori nelle tempeste, ed io ed essa, cogli occhi fissi su quei cari oggetti, ci eravam posti alle due estremità dell’albero stesso che, sbattuto dal vento, veniva trasportato insieme col vascello verso le prode di Corinto. Il sole alla fine, mostrandosi alla terra, dissipò quel funesto uragano: sotto la benefica influenza della sua luce desiderata, i mari a poco a poco si calmarono, e noi scoprimmo da lungi due navi, una di Corinto, l’altra d’Epidauro che ci venivano incontro. Ma prima che ne avessero raggiunti... oh! non mi costringete a dirvi il resto: indovinate voi stesso quello che segui, da quello che avete inteso.

Duc. Continua, vecchiardo; non interrompere il tuo racconto: potremo compatirti, se non potremo perdonarti.

Eg. Oh! se gli Dei avessero avuta qualche pietà per me, non gli avrei chiamati ingiusti. Prima che le due navi ci avessero raggiunti, noi rompemmo sopra un’irta scogliera, sicchè la barca