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ATTO QUINTO | 241 |
Per. A che accenna ciò? Ella muore! Soccorso, gentiluomini.
Cer. Nobile signore, se voi avete detto il vero, questa è vostra moglie.
Per. Mia moglie? Io la gettai in mare.
Cer. Ma qui approdò, ve ne fo fede.
Per. È impossibile.
Cer. Mirate questa donna, ella non è che vinta dalla gioia: un mattino essa fu gettata dall’onda su questi lidi: io apersi la cassa che la racchiudeva, e trovai con lei molte gemme; la feci rinvenire, e la collocai qui nel tempio di Diana.
Per. Dove sono quelle gemme?
Per. Le vedrete in casa mia, dove io v’invito. Ma osservate! Taisa ritorna in se stessa.
Tais. Oh, fate ch’io lo vegga! S’egli non è il mio sposo, il senso non prevarrà sul mio dovere. Oh signore! siete voi Pericle? Voi parlate come lui, siete simile a lui: non favellaste d’una tempesta, d’un parto e d’una morte?
Per. La voce dell’estinta Taisa.
Tais. Io sono quella Taisa che fu creduta morta per sempre.
Per. Immortal Diana!
Tais. Ora vi riconosco meglio. Quando noi ci dividemmo in lacrime a Pentapoli, il re mio padre vi diede quest’anello. (gli mostra un anello)
Per. È vero, onnipossenti Dei! Ora la vostra bontà mi fa obbliare tutte le mie miserie passate. Oh vieni fra queste braccia per non separartene mai più.
Mar. Il mio cuore anela di trasfondersi in quello di mia madre. (inginocchiandosi dinanzi a Taisa)
Per. Guarda chi qui s’inginocchia! è sangue del tuo sangue, Taisa: è la figlia tua, la tua Marina.
Tais. Sia ella benedetta! (abbracciandola)
El. Salvete, signora e regina!
Tais. Io non vi conosco.
Per. Voi m’udiste dire, quand’io fuggii da Tiro, che aveva lasciato un uomo fido al mio posto: vi rammentate com’io lo chiamassi? Spesso lo nominai.
Tais. Elicano, s’io non erro.
Per. V’apponete: abbracciatelo, cara Taisa; è quello. Ora io desidero di sapere come voi foste trovata, come tornaste alla vita, e chi debbo ringraziare dopo gli Dei, di tanto miracolo.
Tais. Cerimone, signore, di cui i Numi si son valsi per mostrare la loro potenza: lui ringraziate, e da lui otterrete ogni esplicazione.