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ATTO QUARTO 233

arrebbe sanato. Tieni, eccoti oro: persevera sempre in questa via, e gli Dei ti dian forza.

Mar. Essi guardino per voi.

Lis. Per me non venni con cattivo intendimento, perchè abborro le porte di sì fatti luoghi. Addio. Tu sei una creatura virtuosa, e io non dubito che non sia stata nobile la tua educazione. Prendi; eccoti oro ancora: maledetto sia colui che penserà a spogliarti della tua innocenza: ch’ei possa morire come un malfattore! Se avrai di me altre novelle, sarà per bene tuo. (mentre Lisimaco vuol riporre la borsa, entra Boult)

Boult. Vi supplico, una moneta anche per me.

Lis. Via, dannato cane! La vostra casa, senza i meriti di questa fanciulla, crollerebbe, e vi schiaccierebbe tutti: via! (esce)

Boult. Che vuol dir ciò? Prenderem con voi altre maniere. Se la vostra caparbia castità, che non vale una colazione d’osteria, ci deve sfornir l’albergo, io v’acconcierò come meritate. Ite.

Mar. Che cosa volete farmi?

Boult. Voglio che v’arrendiate a quello che vi diciamo, o vi farem passare per le mani del carnefice. Andatevene. Non iscaccierete più di qui alcun gentiluomo. Andate, dico. (rientra la Cortigiana)

Cor. Che v’è? che fu?

Boult. Sempre peggio, sempre peggio, padrona; ella ha parlato con sante parole anche a Lisimaco.

Cor. Oh abbominazione!

Boult. Ed esercita la nostra professione come se fosse sempre al cospetto degli Dei.

Cor. Sia maledetta!

Boult. Il governatore l’avrebbe trattata da par suo, ma essa lo rimandò tutto contrito e in orazione.

Cor. Boult, conducila via; adopera seco come ti piace, e rendila mansueta.

Boult. Lasciate fare a me, ch’io le torrò le fisime dal capo.

Mar. Udite, udite voi, giusti Dei!

Cor. Ella prega: conducila lontano. Non foss’ella mai qui venuta! ci ha rovinati! Perchè non volete esser simile alle altre donne? Abbiate giudizio, o la pagherete cara! (esce)

Boult. Venite, venite con me.

Mar. Che cosa volete?

Boult. Rapirvi quello che tenete sì caro.

Mar. Dimmi prima una cosa, te ne prego.

Boult. Udiamo.