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ATTO QUARTO | 231 |
SCENA VI.
La stessa. — Una stanza nel lupanare.
Entrano il Mezzano, la vecchia Cortigiana e Boult.
Mez. La ritrosia di costei ci ha rovinati tutti.
Cor. Fu mai veduta egual pazza? Ma bisogna, o che vinciamo la sua resistenza, o che ci disfacciamo di lei. Allorchè io l’esorto a captivarsi i clienti, e a praticar bene la professione, ella comincia co’ suoi discorsi, colle sue preghiere, col suo inginocchiarsi, e con cent’altre frasche che farebbero diventar puritano il diavolo, prima ch’ei potesse ottenere un bacio da lei.
Boult. In fede, bisogna soggiogarla, se no ella ci sfornirà di tutti i nostri cavalieri, e li muterà in altrettanti preti.
Mez. Il diavolo se la porti.
Cor. O qualche malattia diabolica. Viene Lisimaco travestito. (entra Lisimaco)
Lis. Che v’è di nuovo? Quali belle possedete?
Cor. Gli Dei vi benedicano.
Boult. Son lieto di veder Vossignoria in buona salute.
Lis. Lo credo, perchè è bene che i vostri avventori stian ritti sulle gambe. Possedete nessun oggetto prezioso?
Cor. Abbiamo una fanciulla, signore, che l’eguale non venne mai in Mitilene.
Lis. Se per sua cagione l’umanità fosse stata dannata, tu avresti detto lo stesso di lei.
Cor. Vostra Signoria vedrà che non l’inganno.
Lis. Bene, falla venire.
Boult. Per la carne e il sangue, signore, bianca e rossa; vedrete una rosa; e una rosa sarebbe se avesse solo...
Lis. Che cosa?
Boult. Oh! io debbo essere modesto.
Lis. Strano dovere in un tuo pari.
Cor. Eccola che giunge in tutto il suo splendore. Ell’è intatta, ve ne assicuro. (entra Marina) Non è una vaga donzella?
Lis. Convengo che è leggiadra. Prendete questo danaro, e lasciateci soli.
Cor. Vi supplico di permettere ch’io le dica una parola, e poi me ne vo.
Lis. Fate.