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216 | PERICLE PRINCIPE DI TIRO |
ATTO TERZO
Entra Gower.
Gow. Ora tutto dorme, tutto è silenzio, il banchetto nuziale ha sepolte nell’obblio molte persone. Ora i gatti con occhi scintillanti stanno appostati dietro alle buche dei topi, e il canto odi ora solo della civetta e del cuculo. L’imeneo ha guidata nel letto la sposa, che diverrà madre in breve. State attenti, e quello che non comprenderete nella pantomima che sta per seguire, io poscia ve lo spiegherò colle parole.
Pantomima.
Gow. Dopo molte penose ricerche fatte di Pericle per tutti gli angoli del mondo, da Tiro alfine vengono recate lettere alla Corte del re Simonide, il di cui tenore è questo: Antioco e sua figlia son morti; gli abitanti di Tiro vorrebbero porre sul capo di Elicano la corona che egli rifiuta, ma la plebe è sossopra, e se Pericle non riede nell’intervallo di un anno, bisognerà che ci conformi al di lei volere salendo sul trono. La somma di tali dispacci recati in Pentapoli fa spalancare ad ognuno occhi di meraviglia, fa a molti esclamare: chi avrebbe creduto che il vincitore del nostro torneo fosse un re? Ma questo re bisogna che ritorni a Tiro: la sua sposa incinta si assoggetta a tal partenza, sebbene con dolore. Licorida, sua nutrice, va con essi ad imbarcarsi. Il loro vascello scorre sull’onde gran tempo propizie, poi la fortuna varia, e sorge un nembo dal nord, che pone in gran pericolo la misera nave. Taisa grida, e per terrore è colta dalle doglie del parto, ma quello che segue a tal tempesta, lo vedrete da voi stessi: io non debbo riferirvelo. L’azione porrà il tutto in chiaro, che esposto da me perderebbe molta parte di interesse. Intanto imaginate di vedere in questo palco scenico il vascello, su di cui verrà a parlarvi il principe infelice. (esce)