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ATTO SECONDO 207


Pesc. Udite: diceste ch’eravate insolito al mendicare?

Per. So però chiedere.

Pesc. Solo chiedere? Diverrò allora io pure un chiedente, e mi sottrarrò alle sferzate.

Per. Son forse sferzati tutti i mendichi qui?

Pesc. Oh! non tutti, amico, non tutti, perchè se lo fossero tutti, non desidererei miglior ufficio di quello di carnefice. Ma è ora che voi ve n’andiate a stendere le reti. (escono due dei pesc.)

Per. Quanto bene quest’onesta allegria si addice alle loro fatiche!

Pesc. Udite, messere! Sapete voi dove siete?

Per. Non bene.

Pesc. Allora io vel dirò: questa si chiama Pentapoli, e il nostro re è il buon Simonide.

Per. Il buon re Simonide è qui?

Pesc. Sì, e tal nome merita per il suo pacifico regno e pel suo provido governo.

Per. È un re fortunato, dappoichè ottiene da’ suoi sudditi il nome di buono. Quanto è lontana di qui la sua Corte?

Pesc. Un mezzo dì di cammino; e vi dirò che ha una bella figlia, di cui domani corre l’anniversario: sonvi principi e cavalieri venuti da tutte le parti del mondo a giostrare per amore di lei.

Per. Se le mie fortune fossero pari ai miei desiderii, io pure vorrei entrare in lizza.

Pesc. Oh amico! veggo che divenite d’un umore veramente piacevole. (rientrano i due pescatori con una rete)

Pesc. Soccorso, amici, soccorso; v’è un pesce accalappiato nella rete, come i diritti d’un pover uomo nella legge; non lo si può trar fuori. Ah potenze del Cielo! esso viene alfine, ed è invece un’armatura rugginosa.

Per. Un’armatura, amici! Lasciate che io la vegga. Grazie, fortuna, che dopo tante mie perdite mi dai agio di ripararle. Quest’armatura era mia, e mio padre la lasciò a me dicendomi: conservala, Pericle, essa salvò me da morte, e te pure salverà; conservala sempre. Io ben la tenni, e con amore la conservai, finchè gl’irati flutti me la rapirono: essi ora me la restituiscono: ne sian grazie al Cielo! Non sento più il peso di tutte le mie disavventure, dappoichè torno in possesso di questo dono prezioso.

Pesc. Che cosa v’intendete voi di dire?

Per. Io voglio chiedervi, onesti amici, quest’armatura che fu