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ATTO PRIMO 203

signore! i mali nostri strappano le lagrime, e non possono avere refrigerio da altri mali.

Cl. Dioniza, chi manca di cibo può egli dissimulare il suo bisogno e tacere finchè sia morto di fame? Le nostre lingue debbono bandire i nostri dolori; e i nostri occhi piangere, finchè hanno lagrime, onde se la clemenza del Cielo ne ha obbliati, propiziarcela possiamo colle dimostrazioni delle nostre sventure. Io innalzerò dunque la voce per far noti i nostri guai, e mancando di lena per parlare, tu mi soccorrerai col pianto.

Dion. Lo farò, signore.

Cl. Questo Tarso, già tanto fiorente, che io governo, in cui le ricchezze pareano aver posto il loro seggio; le di cui torri elevavansi così sublimi, che sembravano baciar le nubi, svegliando l’ammirazione dì ogni straniero; in cui uomini e donne sfoggiavano quanto ha di più eletto il lusso; in cui ogni abbondanza ed ogni piacere trovavasi, dal quale ogni povertà era bandita, e in cui sconosciuto era pur anche il nome del male; è ora...

Dion. Oimè me!

Cl. È ora... (collera tremenda del Cielo, che non puoi tu fare!) è ora l’albergo d’ogni infelicità; il ricovero d’ogni sventura! Quelle bocche, cui non ha molto tutti gli elementi concorrevano a fornire di quel che posseggono di più eletto, sono adesso affamate; quei palati, che non ha molto fastiditi erano delle più pellegrine imbandigioni, anelano ora ad assaggiare un po’ di pane che invano richieggono; quelle madri, che non trovavan nulla di troppo costoso per alimentare i loro bambini, sono ora pronte a divorarli per isfamarsene: così acuti sono i denti della fame, che moglie e marito cavano a sorte chi prima deve morire per allungare la vita dell’altro; uomini e donne, vecchi e fanciulli ogni giorno cadono consunti, e appena se nei sopravviventi riman forza bastante a dar loro sepoltura. Non è ciò vero?

Dion. Le nostre guancie e i nostri occhi ne fan fede.

Cl. Oh! possano quelle città, che hanno in copia anche il superfluo e godono d’ogni bene, aver pietà delle nostre lagrime, e intenerirsi alla miseria di Tarso. (entra un Signore)

Sign. Dov’è il governatore?

Cl. È qui; dichiaragli quale sventura arrechi, perchè le consolazioni non son più fatte per noi.

Sign. Abbiamo veduto veleggiare in queste rade un superbo navilio, che sembra indirizzarsi a questo porto.

Cl. Lo aveva preveduto; un male non giunge mai solo, ma ne reca sempre con sè un altro che ne possa tenere il luogo. Qual-