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10 | PENE D'AMOR PERDUTE |
Long. Per lontanarle da questa Corte, colla minaccia maggiore che per loro vi sia.
Bir. Una legge molto austera contro la gentilezza. — (legge) Item, se un uomo è sorpreso nel corso di questi tre anni in colloquii con una donna, egli subirà quell’ignominia pubblica che piacerà a tutta la Corte di infliggergli. — Questo articolo, mio sovrano, lo violerete voi medesimo, perchè voi ben sapete, che vien qui a favellarvi, quale ambasciatrice, la figlia del re di Francia, nobile principessa, amabile e graziosa. Ella viene a trattare con voi per la cessione dell’Aquitania a suo padre vecchio, infermo, obbligato a guardar sempre il letto. Perciò è un articolo scritto invano, o è invano che quell’illustre principessa viene alla vostra Corte.
Re. Che ne dite, signori? A ciò non abbiamo pensato.
Bir. È così che lo studio è sempre imprevidente, e mentre intende a inutili cognizioni, obblia le cose essenziali che dovrebbe sapere. Quando esso riesce al conquisto dell’oggetto che con ardore ha bramato, è conquisto che rassomiglia a quello fatto di una città coll’incendio: ottenuto appena, è perduto.
Re. Siamo costretti a dispensare la principessa da questo decreto, ma è la necessità che ci obbliga a soffrir qui il suo soggiorno.
Bir. E la medesima necessità ci renderà tutti mille volte spergiuri nel corso di questi tre anni, perocchè ogni uomo nasce colle sue inclinazioni, che non son mai domate dalla violenza, ma sempre da una grazia speciale. — Se io violo la mia fede, mi scuserò dicendo che vi fui costretto dalla necessità. Se ciò mi è permesso, mi sottoscriverò volentieri a tali leggi, e consentirò che disonorato sia quegli che le infrange: le tentazioni vi saranno per gli altri come per me, ed io credo che in onta della ripugnanza che mostro, sarò nondimeno l’ultimo a mancare al mio giuramento. — Ma non ci verrà dunque permessa nessuna ricreazione?
Re. Sì, ve ne sarà qualcuna: la nostra Corte è frequentata, lo sapete, da quel viaggiatore spagnuolo, spirito bizzarro, che conosce tutte le mode nuove, e tutte le belle maniere del mondo, la di cui testa è un arsenale di frasi, il di cui orecchio è lusingato dal vano suono delle sue proprie parole, come dall’armonia più incantatrice, uomo di forbita cortesia, e cui il giusto e l’ingiusto sembrano avere scelto per esser arbitro delle loro dispute. Quel figlio dell’imaginazione, quel sublime Armado, negl’intervalli dei nostri studii ci narrerà con termini pomposi le pro-